Nello scorso mese di agosto, complice forse la penuria di fatti durante la pausa feriale, ha trovato ampio spazio sui media locali, ma non solo, e con un certo clamore, la notizia di una proposta di legge scritta dall'on. Romina Mura, sottoscritta anche da me e dalla collega Daniela Sbrollini, vicepresidente della Commissione Affari sociali, avente ad oggetto l’“Istituzione del congedo per le donne che soffrono di dismenorrea”, che prevede sulla base di certificazione medica la possibilità per le donne che ne soffrono di assentarsi da lavoro 'fino' a tre giorni (e non 'per' tre giorni). A questo link trovi il testo integrale della proposta: http://www.camera.it/_dati/leg17/lavori/stampati/pdf/17PDL0044140.pdf.
Il tema, certo molto sensibile e complesso, è stato semplificato dai titoli ad effetto sulla stampa, che hanno dato quasi per già approvata la possibilità per le donne (tutte) di stare a casa tre giorni durante il ciclo mestruale! Si è creato così un corto circuito sulla stampa, che mi ha visto attaccata da più parti: le critiche sono arrivate dalla presidente di Unindustria Treviso, Maria Cristina Piovesana, dalla segretaria della Cgil del Veneto, Elena Di Gregorio, dall'assessore regionale Elena Donazzan, che hanno trovato “questa iniziativa del tutto inappropriata e inopportuna", ma pure da amministratrici e iscritte del Pd, anche di cultura femminista, che hanno visto nella proposta un pericolo di discriminazione per le donne. Il dibattito è stato molto acceso - sia pro che contro - anche sulla mia pagina Facebook (in cui non sono mancati i commenti misogini di alcuni maschi...). Peraltro mi sono arrivati, anche privatamente, molti messaggi di incoraggiamento, sia da giovani donne, che da uomini che hanno avuto l'esperienza di sorelle o madri sofferenti. Mi ha fatto piacere anche leggere sul CorVeneto le dichiarazioni di grande equilibrio e buonsenso dell'imprenditrice di Conegliano Veneto Mariacristina Gribaudi: "Il problema certamente esiste, tanto che all'estero ci sono aziende che hanno inserito il congedo all'interno del proprio statuto. Ma esso va affrontato per quello che è, senza farne un casus belli, con un approccio ispirato al buon senso, utilizzando gli strumenti già abbondantemente previsti conciliando l'interesse delle donne con le aspettative di produttività delle aziende".
È esattamente questo lo spirito con cui ho aderito alla proposta della collega Mura, come ho cercato di spiegare ai media che mi hanno contattato in quei giorni. Qui puoi trovare la relativa rassegna stampa:
Mi ha fatto piacere che anche Barbara Ganz sul blog femminile che tiene sul Sole 24 Ore abbia dato spazio alla proposta considerando positiva l'apertura di un dibattito sul tema:http://www.alleyoop.ilsole24ore.com/2016/08/23/la-proposta-di-legge-sul-congedo-per-dismenorrea-prima-di-passare-ai-commenti-vogliamo-leggerla-e-un-solo-articolo/
Si tratta infatti di un tema significativo che riguarda il benessere delle donne (che non sono fisiologicamente uguali agli uomini!) ma che, come testimoniano i casi di molte aziende europee e mondiali che hanno già riconosciuto il congedo dal lavoro per dismenorrea, è anche interesse delle aziende affrontare perché ha delle evidenti ricadute sulla produttività. Persino in Cina si è aperto il dibattito su questo tema: http://www.agichina.it/ritagli-di-emma-lupano/notizie/congedo-mestruale-per-lavoratricibr-/dopo-shanxi-e-hubei-arriva-in-anhui. È infatti dimostrato che le donne che soffrono di forti dolori durante il ciclo mestruale siano in quei giorni molto meno produttive. La proposta di legge trae ispirazione quindi anche da una domanda, ben poco ideologica, molto più concreta, che tra l'altro si è fatta per prima una imprenditrice inglese (a questo link la relativa notizia: http://www.britalypost.com/regno-unito-arriva-il-congedo-mestruale/): come possiamo valorizzare la produttività femminile? Trovare una risposta apporterebbe alle donne un elemento in più da utilizzare, qualora ne avessero bisogno, per dimostrare, e non solo nel mondo del lavoro, la propria creatività e capacità. Non penso che il ciclo mestruale sia una malattia e forse anche in Italia possiamo almeno interrogarci sul fatto se si possano creare le condizioni per un maggior bene-essere delle donne al lavoro sincronizzando e ottimizzando le energie del ciclo naturale femminile. Anche nell'interesse delle aziende, in termini di qualità del lavoro femminile. Non certo un privilegio femminile di cui abusare, ma una scelta lungimirante.
Quanto all’attuazione concreta della proposta, come ho spiegato, si possono discutere le forme e condizioni della misura affinché sia sostenibile sul piano finanziario, sia per le imprese, che per la finanza pubblica. Ad esempio si potrebbe partire su base volontaria con un gruppo di aziende che siano disponibili a una fase sperimentale, anche prevedendo che le ore di assenza dal lavoro, che possono essere al massimo di tre giorni e comunque su certificazione medica specifica per evitare abusi e furberie, possano essere recuperate (flessibilità di orario) successivamente quando la donna lavoratrice ritorna in piena forma ed è molto più produttiva.
La scorsa settimana, proprio per confrontarmi e raccogliere i preziosi suggerimenti di una persona che si sta spendendo da anni su questo fronte, ho incontrato Sonia Manente, una donna tenace che ben conosce le problematiche di salute del genere femminile: dopo aver creato nel 1999 un gruppo di auto-aiuto a sostegno delle donne che soffrono di endometriosi - una patologia femminile dolorosissima ed invalidante -, nel 2006 ha fondato (e ne è divenuta presidente) l'Associazione onlus Endometriosi FVG, ottenendo l'approvazione della prima legge in Italia sull'endometriosi, quella del Friuli Venezia Giulia, la L.R. n. 18/2012 (http://lexview-int.regione.fvg.it/fontinormative/xml/xmllex.aspx?anno=2012&legge=18). Avevo conosciuto questa donna coraggiosa nel 2013, quando mi aveva proposto di sostenere come parlamentare una lettera dell'Associazione per sensibilizzare i Governatori regionali in merito alla necessità che anche altre Regioni procedano all'approvazione di leggi regionali a sostegno delle donne affette da endometriosi (http://www.endometriosifvg.it/2014/06/30/lettera-ai-governatori-di-regione-2/). Per arrivare ad ottenere a livello nazionale l’istituzione del Registro nazionale dell’endometriosi e ad includere l’endometriosi nell’elenco delle patologie per le quali è prevista l’esenzione dalla partecipazione delle prestazioni effettuate dal Servizio sanitario nazionale. Ed in effetti nel frattempo Sonia è riuscita ad attivare ed unire in rete le Regioni Friuli Venezia Giulia, Molise, Sardegna e Puglia per promuovere una legge unitaria nazionale che tuteli i tre milioni di donne affette in Italia da questa malattia invalidante (http://www.endometriosifvg.it/legge-endometriosi/le-altre-regioni/).
Intanto in Parlamento nel maggio scorso sono state approvate 8 mozioni presentate da tutti i Gruppi (io ho sottoscritto quella della collega D'Incecco del Pd), con le quali si impegna il Governo ad avviare iniziative concrete di sostegno sociale ed economico per le donne affette da questa patologia, l'istituzione di un fondo nazionale e di un registro nazionale dell'endometriosi e la realizzazione di reti di eccellenza pubbliche. Il ministro della Salute Beatrice Lorenzin nel giugno scorso ha quindi confermato l’inserimento finalmente dell’endometriosi nei "Lea", i Livelli essenziali di assistenza: tutte le visite per questa patologia quindi non comportano più pagamenti extra oltre al ticket e la stessa è stata inclusa nell’elenco delle malattie invalidanti. Un passo in avanti importante, dopo anni che in Parlamento abbiamo sollecitato la pratica applicazione di queste misure.