I risultati delle amministrative in Veneto: ripartire dai candidati, anche civici, radicati sul territorio

12 giugno 2016

Nella stragrande maggioranza dei comuni veneti andati al voto domenica 5 giugno, il risultato fatto segnare dal Partito Democratico e dai candidati da esso sostenuti è senza dubbi un risultato preoccupante.

E’ evidente l’effetto di trascinamento negativo sui territori della sconfitta delle regionali della primavera 2015, quando il Pd veneto, raccogliendo poco più del 10% dell’elettorato, ha dimostrato di non saper sintonizzarsi con il sentire profondo della società veneta e ciò nonostante non è stato capace, e in parte non ha voluto, dare un segnale per dimostrare che aveva capito la lezione ed era pronto a cambiare. Anzi il partito a livello regionale ha tergiversato fino ad oggi senza una guida, senza una linea politica chiara, assente sui temi centrali che interessano ai veneti, convinti che in questo territorio bastasse affidarsi all’effetto dell’onda lunga del risultato di Matteo Renzi alle europee. A questo punto, con un partito incapace di andare oltre il 15%, c’è da temere per il risultato del prossimo referendum sulla riforma costituzionale e soprattutto delle prossime elezioni politiche.

Di positivo c’è comunque che nelle settimane di campagna elettorale ho incontrato sul territorio candidati mossi da grande passione civica e politica, consapevoli che la strada per loro in questo momento era tutta in salita, ma che non si sono risparmiati nonostante avessero alle spalle un partito in grande difficoltà. Per questo ora serve lavorare per il radicamento del partito sui territori, ripartendo dai giovani consiglieri eletti che hanno ottenuto importanti risultati in termine di consenso personale e da quei candidati, anche civici, che hanno dato la loro disponibilità, sempre più difficile da reperire oggi, come certifica anche il dato dell’astensione.

Proprio sull’astensionismo e sul declino della figura del sindaco molti opinionisti politici hanno dedicato nei giorni scorsi un’attenta analisi. Prima Massimo Franco sul Corriere (clicca qui per leggere il suo articolo) e poi Ilvo Diamanti su Repubblica (clicca qui per leggere il suo articolo), affermando in sintesi che l'astensionismo sarebbe comunque fisiologico nelle democrazie occidentali. Io penso invece che dobbiamo farci carico di quello che è un deficit per la democrazia, che presto o tardi potrebbe delegittimarla agli occhi dei cittadini, alimentando un populismo pericoloso. Non dimentichiamo la lezione di Alexis de Tocqueville: "[...] dico che il mezzo più potente, e forse il solo che ci resta, per interessare gli uomini alla sorte della loro patria, è farli partecipare al governo della cosa pubblica. Ai giorni nostri, lo spirito civico mi sembra inseparabile dall’esercizio dei diritti politici; e penso che ormai si vedrà aumentare o diminuire in Europa il numero dei cittadini in proporzione all’estensione di questi diritti."Tocqueville vedeva nelle libertà comunali e nella partecipazione alla vita civica la palestra delle libertà e doveri democratici. Se questa palestra non rimane vitale è un cattivo segnale per la nostra Repubblica, significa che i cittadini pensano che la cosa pubblica non è affar loro o comunque che da essi non dipende il cambiamento necessario a rivitalizzare la stessa democrazia. I partiti dovrebbero preoccuparsi di questo e gli opinionisti sforzarsi di conoscere meglio le nostre istituzioni locali e i tantissimi amministratori, soprattutto di comuni di piccola e media dimensione, che, senza fare notizia, tengono vivi i principi della Repubblica nei territori tra mille difficoltà e vincoli legislativi irragionevoli. E non semplificare l'analisi della nostra democrazia locale limitandosi ai casi di malgoverno di alcune grandi città che fanno notizia. Casi che ci suggeriscono peraltro che le grandi dimensioni non bastano né come condizione di governo efficiente ed efficace, né come spazio adeguato alla educazione e partecipazione civica.

Concludo con una riflessione. Chi fa politica dovrebbe partire dal concetto che gli elettori hanno sempre ragione, anche se nelle loro scelte semplificano molto. Guardano ai candidati, ai partiti e ai progetti in campo. E scelgono chi sentono più vicino per idee culturali, sociali e politiche e insieme più affidabile per governare il proprio comune. Ho sentito alcuni esponenti del Pd sottolineare che il voto in Veneto è stato influenzato ‘dalla pancia’ degli elettori, per le paure e alimentate da populismi di vario genere sul fenomeno dei migranti. Non credo sia stata la ragione principale delle sconfitte nei nostri comuni, anche se il tema è sentito e preoccupa, perché la maggioranza degli elettori è più intelligente di quello che si pensa. Perciò non è tanto che vota di pancia, quanto piuttosto che votando chiede risposte credibili anche sul tema dell’immigrazione. Spetta a noi, al Governo da noi sostenuto, dimostrare che si ha un piano a livello europeo e nazionale per gestire il fenomeno, trasformando l’immigrazione da un problema a una risorsa. Il Censis del resto ha confermato in un recentissimo studio che l’Italia sarebbe più povera senza gli immigrati: meno bambini, meno lavoratori, meno 450.000 aziende. Sarebbe un Paese destinato al collasso demografico ed economico (leggi a tal proposito l'articolo de L'Avvenire cliccando qui). Basta pensare che proprio venerdì scorso ho avuto notizia dall’Ufficio Scolastico regionale che nel prossimo anno scolastico si segnerà in Veneto un primo calo demografico significativo, con quasi 2.500 alunni in meno. Che corrispondono a circa 120 cattedre in meno. Dunque il tema è avere una risposta convincente sull’immigrazione e saperla comunicare trovando un linguaggio alternativo che arrivi alla ragione degli elettori, facendo emergere la loro parte emotiva migliore. È per questo che ho trovato estremamente interessante l’articolo di Ernesto Galli della Loggia apparso di recente sul Corriere che invita l’Europa a tratte lezione da quanto sta accadendo negli Stati Uniti nella corsa alla Casa Bianca: “[…] mentre alcuni sondaggi già ora cominciano a non dar più la Clinton come vincitrice sicura in un duello con Trump, viceversa non sembrano esserci dubbi sul fatto che Sanders batterebbe di sicuro il candidato repubblicano. In altre parole, sarebbe il populismo progressista, non già la sinistra democratica «per bene», la posizione davvero capace di sconfiggere il populismo reazionario.Serve dunque un populismo democratico, capace di “stare dalla parte del piccolo uomo”, di fare un discorso diverso, basato sui principi della comunità, del disinteresse personale e del bene comune. Servono dei “Cesari democratici” che siano capaci, grazie alla parola e ai gesti simbolici, di rivolgersi al cuore per arrivare alla testa (cliccando qui puoi trovare l’articolo completo).


pubblicata il 12 giugno 2016

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