Stimolante confronto con le donne della CNA di Rovigo quello di domenica 12 marzo scorso. Tanti i temi sul tavolo partendo da alcuni dati dell'Osservatorio dell’imprenditoria femminile di Unioncamere-InfoCamere, che vedono le imprese guidate da donne superare quota 1 milione e 321 mila, pari al 21,74% del totale delle imprese registrate in Italia. Quasi 14 imprese su 100 sono guidate da donne under 35 con un alto tasso di istruzione che fa sì che esse sviluppino grandi possibilità nelle nuove tecnologie entrando in maniera significativa nel mondo dell'innovazione e della net-economy. Un’economia femminile con enormi potenzialità, che il Paese però non è ancora riuscito pienamente a valorizzare, visto che per le donne italiane resta difficile conciliare lavoro e famiglia e la disoccupazione femminile si mantiene su livelli elevatissimi. Peraltro, una parte dell'imprenditorialità femminile è espressione di una spinta all'autoimpiego generata proprio dalle insufficienti opportunità offerte dal mercato del lavoro o dalla necessità di maggior flessibilità per poter far fronte anche agli impegni familiari.
Antonella Toffanello, responsabile Cna per gli incentivi alle imprese, nel suo intervento ha affrontato il delicato tema dell'accesso al credito, evidenziando problemi sia sul fronte della domanda che su quello dell’offerta: dal lato della domanda le imprese femminili sono meno propense a chiedere credito per timore di vedersi rifiutata la richiesta, dal lato dell’offerta invece è la concessione stessa del credito che trova freni proprio nelle minori garanz (cliccando puoi leggere la relazione completa). Nonostante però le maggiori difficoltà di accesso al credito, unite talvolta ad un maggior costo del denaro, è stato rilevato che le sofferenze creditizie delle imprese femminili tendono meno frequentemente a diventare perdite rispetto a quelle relative alle imprese maschili, dimostrando così la minore rischiosità delle imprese femminili. In Veneto è stato creato con legge regionale un fondo di garanzia apposito, oggi però da rifinanziare, mentre a livello nazionale è stato siglato un protocollo che agevola le imprese in rosa (un esempio: la previsione di 12 mesi di sospensione dal pagamento delle rate per le imprenditrici in maternità).
Adelina Bianchini, direttore del patronato Epasa/Itaco, ha concentrata invece la sua relazione tanto sulle problematiche in tema di pensioni, segnalando criticità e discriminazioni che attualmente permangono per le donne imprenditrici, quanto su alcuni aspetti positivi come la ricongiunzione non onerosa e le principali novità introdotte in materia di conciliazione lavoro-famiglia dall'ultima Legge di Bilancio del Governo Renzi: il congedo parentale, l’indennità di maternità (estesa alle lavoratrici iscritte alla gestione separata dell’Inps e garantita anche in caso di mancato versamento dei contributi da parte del datore di lavoro), i voucher baby sitting, il bonus bebè (960 euro l’anno che spettano alle famiglie o singole mamme, sia lavoratrici che disoccupate, per i bambini nati o adottati tra il 2015 e il 2017), il bonus asili nido, il fondo di sostegno alla natalità, nonché il welfare aziendale (cliccando puoi leggere la relazione completa).
Dal canto suo, Paola Sansoni, presidente nazionale CNA Impresa Donna, ha sottolineato come permangono ancora significative differenze nel trattamento tra lavoratrici autonome e lavoratrici dipendenti e come non si tenga in considerazione nelle politiche pubbliche il dato invece significativo che vede l’Italia al primo posto in UE per numero di lavoratrici indipendenti. Centrale rimane avere un welfare che permetta di conciliare il lavoro delle donne con la cura della famiglia: oggi in Italia l’ISTAT quantifica in 800mila le donne che escono dal lavoro dopo il primo figlio. La Sansoni ha quindi rilanciando la proposta di riconoscere sul piano fiscale (attraverso la modalità della deduzione o della detrazione) tutte le spese sostenute per i servizi di cura ai figli o agli anziani non autosufficienti, soprattutto per le donne imprenditrici o comunque lavoratrici autonome, così da evitare che l’impresa venga chiusa e insieme far emergere il lavoro di cura, oggi molto spesso non regolare proprio per il tentativo di ridurne i costi.
Nelle conclusioni ho raccolto molto volentieri questa proposta che, in linea con un’operazione analoga a quella già fatta per la ristrutturazione edilizia e la riqualificazione energetica degli edifici, consentirebbe di affrontare in modo innovativo e intelligente, oltre che sostenibile per la finanza pubblica, la necessità di favorire il lavoro delle donne (sostenendo la crescita del PIL e la creazione di ulteriori posti di lavoro nel settore dei servizi alla persona) e insieme la scelta di avere dei figli. L'Europa infatti ci insegna che laddove alle donne è consentito lavorare grazie ad un buon sistema di welfare, si fanno più figli, al contrario dell’Italia che avrà il problema nei prossimi anni di dover fare i conti con problemi sociali e di sostenibilità della finanza pubblica e della previdenza, visto che nemmeno l’apporto migratorio compensa più la negativa dinamica della demografia nostrana. La demografa Letizia Mencarini, nel suo intervento al Lingotto del 10 marzo scorso, ci ha raccontato come nel 2015 abbiamo avuto un numero di nascite così basso (486.000 nati) che per trovarne uno pari si deve risalire al 1500, quando la popolazione italiana era un quinto di quella di oggi. E nel 2016 le nascite sono ulteriormente diminuite a 474.000. La media è quella di 1,2 figli per donna italiana, quando il numero minimo per mantenere la popolazione costante sarebbe di 2 figli per donna. Sono dunque quanto mai necessarie politiche strutturali per favorire la natalità e questo passa attraverso interventi che favoriscano il lavoro femminile. Ho peraltro sottolineato come questo non sia facile considerato il ritardo almeno trentennale di politiche familiari adeguate e data la situazione del nostro debito pubblico e dei vincoli della spesa pubblica. Ma è indispensabile farlo o il declino demografico provocherà anche l’insostenibilità del sistema previdenziale, oltre che l’insostenibilità di un livello di crescita indispensabile a sostenere il peso del debito pubblico stesso.