Il 3 marzo scorso, su invito di Andrea Burlini, revisore dei conti, ho conosciuto la bella realtà del Teatro Stabile del Veneto “Carlo Goldoni”, nato nel 1992 dai soci fondatori costituiti da Regione Veneto, Comune di Venezia e Comune di Padova, ai quali si sono poi aggiunti la Provincia di Padova e, nel 2015, la Fondazione Atlantide del Teatro Nuovo di Verona, preso in gestione dal Teatro Stabile, in aggiunta al Teatro Goldoni di Venezia e al Teatro Verdi di Padova. Dal 2014 al 2016 l’ente ha triplicato le produzioni e le coproduzioni gestite direttamente, nonché le rassegne e le iniziative culturali, i protocolli d’intesa e le convenzioni, arrivando a coprire con le entrate dalle proprie attività una quota del bilancio pari al 53,62% nel 2016, a fronte di una media nazionale degli altri teatri di appena circa il 35% (ad esempio Napoli si sostiene con entrate proprie solo per un 15% circa, il resto deriva da risorse pubbliche). Una gestione virtuosa che ha ottenuto nel 2015 dal MIBACT il riconoscimento di Teatro Nazionale, che la colloca tra le eccellenze nazionali, riconoscendo la forte vocazione teatrale del Veneto. Grazie all’impegno dei componenti del consiglio di amministrazione, a cominciare dal Presidente Angelo Tabaro, e di tutti i collaboratori e dipendenti che sono motore dello sviluppo culturale dell’intera regione, nonostante i pesanti tagli subiti che, nel caso dei contributi regionali, ammontano a quasi il 90% di risorse in meno dal 2010. Una situazione che ha costretto il Teatro Stabile ad uno sforzo ulteriore per trovare le modalità di autofinanziamento necessarie a proseguire nella totalità delle sue attività, sia di programmazione che di formazione, che è peraltro obbligato a garantire essendo un teatro nazionale. Anche questa nostra realtà di grande valore culturale deve i suoi ottimi risultati al lavoro e alla capacità gestionale di dirigenti e dipendenti e allo spirito di sussidiarietà tipico del Veneto, che ha sopperito alle consistenti disparità di dotazione finanziaria in rapporto ad altre realtà della Penisola, non altrettanto virtuose sul piano dell’autofinanziamento. E qui la riflessione è ancora una volta la medesima: le realtà associative della società veneta si meritano gli spazi di autonomia che sono consoni alla loro capacità di fare.