Una serie di questioni in materia di enti locali da tempo attendono risposta e purtroppo non sono state ancora risolte alla Camera per i tempi ristretti che avevano indotto a rinviare questa partita al Senato, che però poi, dopo la vittoria del No al referendum costituzionale, ha approvato senza modifiche la manovra nel testo approvato dalla Camera. È restata così in stand by la ripartizione del fondo da circa 3 miliardi per gli enti locali: l'Anci ha chiesto che la questione sia affrontata con un decreto legge ad hoc e ha indicato tra le priorità lo stop ai tagli a carico delle Città metropolitane e delle Province e l'innalzamento del 75% del turn over del personale. In sospeso resta anche la riduzione del 30% delle slot presenti nei bar e nelle tabaccherie prevista per il 2019.
Su sollecitazione della Presidente dell’Anci Veneto, Maria Rosa Pavanello, e della Presidente dell’Associazione Comuni della Marca trevigiana, Maria Rosa Barazza, ho presentato degli emendamenti specifci, utili agli enti locali virtuosi del nostro territorio (clicca qui per leggerli), purtroppo non accolti, ma che spero possano essere affrontati di nuovo in un prossimo provvedimento ad hoc, visto che lo stesso Matteo Renzi nella sua visita del 5 ottobre scorso a Treviso aveva riconosciuto la fondatezza delle richieste dei sindaci della provincia.
Inoltre con altri emendamenti ho raccolto le sollecitazioni della coordinatrice Nicoletta Gozo del Progetto Lumière di Enea per la riqualificazione delle reti comunali di pubblica illuminazione e infine la richiesta dei lavoratori licenziati dall'Azienda Promozione Turismo di Venezia di colmare un vuoto normativo per essere inseriti in mobilità.
Ecco i temi principali su cui ho lavorato.
Da ultimo il Sindaco di Rubano, Sabrina Doni, mi ha rappresentato il problema concreto di due assessori a cui è stata chiesta dalla Procura presso la Corte dei Conti del Veneto la restituzione degli oneri previdenziali già versati dal Comune, in buona fede, nel rispetto della normativa vigente, per una cifra complessiva di circa 55 mila euro. Una problematica molto grave che riguarda moltissimi amministratori locali che sono lavoratori autonomi o libero professionisti, insorta a seguito di un cambiamento di interpretazione delle norme del Testo unico in materia di Enti locali da parte della Corte dei Conti, che appare sotto il profilo costituzionale discriminatoria, oltre che ingiustamente retroattiva, per le ragioni che abbiamo come deputati più volte rappresentato con atti di sindacato ispettivo allo stesso Governo, affinché trovasse una soluzione, da ultimo con l’interrogazione presentata insieme alla collega Marilena Fabbri il 13 settembre scorso, a seguito del ricevimento da parte di 17 comuni del Bolognese della richiesta di informazioni da parte della Procura della Corte dei Conti dell’Emilia Romagna in ordine agli oneri previdenziali già versati ad amministratori lavoratori autonomi o libero professionisti in forza dell’art. 86, comma 2, del Testo unico leggi sull'ordinamento degli enti locali (LINK: http://aic.camera.it/aic/scheda.html?numero=5/09447&ramo=CAMERA&leg=17).
Vale la pena ricordare che l'articolo 51, comma 3, della Costituzione stabilisce che «Chi è chiamato a funzioni pubbliche elettive ha diritto di disporre del tempo necessario al loro adempimento e di conservare il suo posto di lavoro». Norma attuata dall'articolo 77, comma 1, del Tuel, a mente del quale è sancito il diritto di ogni cittadino chiamato a ricoprire cariche pubbliche negli enti locali di disporre del tempo, dei servizi e delle risorse necessarie per l'espletamento del mandato e di usufruire dell'indennità e dei rimborsi spese. E dall'articolo 86, del decreto legislativo n. 267 del 2000, il quale prescrive, al comma 1, che «l'amministrazione locale prevede a proprio carico (...), il versamento degli oneri assistenziali, presidenziali e assicurativi ai rispettivi istituti per (...) [gli amministratori locali che rivestono le cariche specificatamente indicate] che siano collocati in aspettativa non retribuita [articolo 81 del Testo unico leggi sull'ordinamento degli enti locali (Tuel)] (...)»; al comma 2 che «agli Amministratori locali [che rivestono le cariche specificatamente indicate al comma 1 e] che non siano lavoratori dipendenti, l'Amministrazione locale provvede, allo stesso titolo previsto dal comma 1, al pagamento di una cifra forfettaria annuale, versata per quote mensili. Con decreto dei Ministri dell'interno, del lavoro e della previdenza sociale e del tesoro, del bilancio e della programmazione economica sono stabiliti i criteri per la determinazione delle quote forfettarie in coerenza con quanto previsto per i lavoratori dipendenti, da conferire alla forma pensionistica presso la quale il soggetto era iscritto o continua ad essere iscritto alla data dell'incarico»; e al comma 3 che «l'Amministrazione locale provvede, altresì, a rimborsare al datore di lavoro la quota annuale di accantonamento per l'indennità di fine rapporto entro i limiti di un dodicesimo dell'indennità di carica annua da parte dell'Ente e per l'eventuale residuo da parte dell'Amministratore». Il decreto ministeriale dell'interno 25 maggio 2001 ha stabilito i criteri per la determinazione delle quote forfettarie da conferire a favore delle forme pensionistiche presso le quali l'amministratore locale era iscritto o continua ad essere iscritto alla data dell'assunzione del mandato di amministratore locale. Risulta quindi esplicitamente ammesso dall'articolo 1 del decreto citato, e può quindi legittimamente verificarsi, che un amministratore locale possa continuare ad essere iscritto alla forma pensionistica di riferimento per la professione svolta, anche durante l'assolvimento del mandato. L'ente locale, come a suo tempo precisato anche dal dicastero dell'interno con nota 23 settembre 2002, e parere 17 febbraio 2004, ha quindi l'obbligo di versare gli oneri previdenziali per un amministratore locale-libero professionista che continua a svolgere durante il mandato la propria attività professionale. Secondo il Ministero, detto beneficio accordato ai liberi professionisti «si basa sul presupposto che l'assunzione di cariche pubbliche particolarmente impegnative interferiscono sull'attività del professionista, con ripercussioni prevedibili sul reddito e quindi sulla sua capacità contributiva», tenuto conto anche che, a differenza dei lavoratori dipendenti, «i lavoratori autonomi non hanno la possibilità di porsi in aspettativa e difficilmente possono sospendere l'attività professionale».
Ebbene, non sono rintracciabili fino a tutto il 2013 posizioni giurisprudenziali, di prassi e di dottrina, contrarie; ed anche l'Inps (circolari n. 8/02 e n. 205/01) e casse professionali, con riferimento alla fattispecie, non hanno mai avanzato alcun riferimento alla necessità che i lavoratori autonomi dovessero rinunciare all'attività lavorativa. Ad oggi, infatti, sia gli istituti di previdenza, che le varie casse professionali non hanno mai posto ostacoli alla corresponsione dei contributi da parte degli enti locali per conto del proprio amministratore, confermando la regolarità della posizione debitoria delle amministrazioni tenute al versamento delle somme assistenziali e previdenziali, in coerenza con l'impossibilità di applicare l'istituto dell'aspettativa previsto dall'articolo 81 del Tuel ai lavoratori autonomi, in quanto previsto per i soli lavoratori dipendenti, e alla difficoltà o impossibilità per i primi di sospendere e/o chiudere l'attività libero professionale. Fino al 31 dicembre 2013, in merito all'articolo 86 del Tuel, anche le sezioni regionali della Corte dei conti (sezione Piemonte e sezione Puglia, rispettivamente con le deliberazioni n. 43/13 e n. 57/13) si erano espresse precisando che il contributo forfettario per oneri previdenziali e assistenziali a carico degli enti locali era dovuto per i liberi professionisti che prima del mandato elettorale erano già iscritti e che continuavano ad essere iscritti durante il mandato alla gestione previdenziale di appartenenza.
A partire tuttavia dal 2014, sulla base di un cambio di interpretazione, la sezione regionale per il controllo della Corte dei conti della Basilicata, con la deliberazione del 15 gennaio 2014, n. 3, ha affermato che gli amministratori locali, per ottenere da parte dell'ente locale il pagamento della quota forfettaria dei contributi previdenziali, devono necessariamente formalizzare anche un'espressa rinuncia all'attività lavorativa autonoma o professionale svolta e alla retribuzione corrispettiva, per parificare la loro posizione a quella dei lavoratori dipendenti, per i quali è previsto che devono collocarsi in aspettativa per ottenere il beneficio del pagamento dei contributi per conto del datore di lavoro. Lo stesso Ministero dell'interno con parere 4 agosto 2014 (class. n. 15900/TU/00/86) ha confermato tale tesi della Corte dei conti sul versamento degli oneri previdenziali, contrariamente a quanto disposto dal decreto ministeriale dell'interno 25 maggio 2001 e dalla circolare dell'Inps n. 205/01, che invece assumono come non sovrapponibili le due fattispecie in quanto il lavoratore autonomo, per adempiere compiutamente al proprio mandato elettivo deve impiegare a tale fine la propria risorsa «tempo» in maniera consistente, sottraendola così all'attività libero professionale (senza potervi rinunciare peraltro per non correre il rischio di non trovarsi più un lavoro alla fine dell'esperienza amministrativa) con la conseguente sottrazione di reddito personale, che sino a tutto il 2013 era quindi pacificamente da compensare con il versamento dei contributi forfetizzati nella quota minima.
Questa nuova interpretazione, non dovuta ad un cambiamento di norme, sta dunque determinando crescenti difficoltà per gli amministratori non lavoratori dipendenti che svolgano attività professionale con la conseguente impossibilità per le casse di ricevere le contribuzioni da parte degli enti locali, ponendo nel nulla la ratio della previsione normativa di cui all'articolo 86, comma 2, del Tuel e, al contempo, creando atteggiamenti difformi su tutto il territorio nazionale, in base ai pronunciamenti delle varie corti.
La tematica è stata affrontata il 3 dicembre 2014 in sede tecnica di Conferenza Stato-Città ed autonomie locali, stante la rilevanza delle problematiche, dove il Governo si era impegnato a trovare una soluzione per chiarire la questione dal punto di vista normativo e della decorrenza temporale, ma come ho sottolineato con forza in sede di discussione dell’emendamento in Commissione al sottosegretario Baretta, in rappresentanza del Governo, sono passati due anni invano. Ho quindi invitato il Governo, nel ritirare l’emendamento, stante il parere contrario del Sottosegretario e del Relatore, a trovare finalmente una soluzione nel primo provvedimento utile in materia di enti locali per garantire la partecipazione alla vita pubblica anche ai lavoratori non dipendenti e per rispondere a princípi di chiarezza ed uguaglianza, nonché di omogeneità di comportamenti sull'intero territorio nazionale.
Anche in questo caso una non corretta interpretazione delle norme vigenti da parte della Corte dei Conti sta creando un’ingiustificata lesione di diritti costituzionali a danno degli amministratori locali che siano liberi professionisti. Sul caso avevo peraltro già presentato nel giugno scorso un’interrogazione al Ministro dell’Interno (a questo link il testo integrale dell’interrogazione: http://aic.camera.it/aic/scheda.html?numero=5/08842&ramo=CAMERA&leg=17), ancora rimasta purtroppo senza risposta.
La questione verte sull’art. 5, comma 5, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, secondo il quale nei confronti dei titolari di cariche elettive, lo svolgimento di qualsiasi incarico conferito dalle pubbliche amministrazioni, inclusa la partecipazione a organi collegiali di qualsiasi tipo, può dar luogo esclusivamente al rimborso delle spese sostenute ed eventuali gettoni di presenza non possono superare l'importo di 30 euro a seduta. L'applicazione letterale di tale disposizione, inserita in un articolo dedicato alle «economie negli organi costituzionali, di governo e negli apparati politici» impone a tutta la pubblica amministrazione il divieto di retribuire qualsiasi prestazione fornita da un professionista titolare di un incarico elettivo anche se non esiste alcun rapporto (collegamento) tra l'amministrazione che conferisce l'incarico e quella in cui si svolge il mandato elettivo.
Il problema della corretta interpretazione da attribuire alla citata disposizione è stato oggetto di varie pronunce delle sezioni regionali della Corti dei conti. Quella del Veneto, chiamata ad esprimersi in merito al compenso di un revisore dei conti titolare di incarico elettivo, ha sottolineato con buon senso (deliberazione n. 569/2015/QMIG) gli «esiti del tutto inaccettabili e palesemente contrari al dettato costituzionale» che sarebbero scaturiti dall'applicazione della norma «se la locuzione “svolgimento di qualsiasi incarico conferito dalle pubbliche amministrazioni” fosse intesa letteralmente, poiché anche il consigliere comunale che, ad esempio, in quanto avvocato, fosse destinatario di un incarico legale da parte di un'altra pubblica amministrazione, non potrebbe percepire alcun compenso: in tal modo, difficilmente la norma potrebbe superare uno scrutinio di legittimità costituzionale e l'ingiustificata lesione di diritti costituzionali potrebbe rinvenirsi anche nella limitazione del diritto di accedere ad una carica pubblica elettiva atteso che, se il cittadino per accedere a tale carica deve abdicare al proprio diritto a ricevere il compenso per la propria attività professionale, potrebbe essere indotto a rinunciare a ricoprire la carica elettiva». Anche il dipartimento per gli affari interni e territoriali del Ministero dell'interno (nota del 5 novembre 2015) ha ritenuto, «preso atto che la finalità perseguita dal legislatore era la riduzione del costo degli apparati politici» che l'applicazione della norma dovesse «ritenersi limitata ai costi ed alle spese necessarie per l'esercizio degli incarichi conferiti all'amministratore in relazione alla carica elettiva e quindi all'esercizio del munus pubblico».
Questi orientamenti sono stati però sovvertiti dalla pronuncia della sezione centrale delle autonomie della Corte dei conti che sulla questione rimessa dalla Sezione regionale di controllo per il Veneto ha di recente ribadito che «la disciplina vincolistica contenuta nell'articolo 5, comma 5, decreto-legge n. 78 del 2010 si riferisce a tutte le ipotesi di incarico, comunque denominato». Con ciò lasciando irrisolti tutti i dubbi di costituzionalità in relazione al diritto di uguaglianza e libera iniziativa privata nei confronti dei titolari di cariche elettive, configurando persino una compressione indiretta del diritto di elettorato passivo di tutti i cittadini che svolgono una attività professionale.
L’emendamento da me predisposto per superare queste criticità, ricalcando la proposta di legge A.C. 4011 già depositata in materia con il Collega Giovanni Sanga primo firmatario il 2 agosto scorso (LINK: http://www.camera.it/_dati/leg17/lavori/stampati/pdf/17PDL0044910.pdf), per ricondurre la norma alla finalità originaria di contenimento del costo degli apparati politici, chiariva che non rientrano tra gli incarichi oggetto del vincolo di cui al citato articolo 5, comma 5, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, quelli conferiti ai titolari di cariche elettive da enti diversi da quello di appartenenza per lo svolgimento di attività libero-professionali. Facendo, inoltre, salvi gli incarichi di tipo libero-professionale già conferiti, per i quali non si dà luogo alla ripetizione delle somme eventualmente erogate a titolo di corrispettivo. Purtroppo anche su questo emendamento c’è stato il parere contrario del Governo e del Relatore ed è stato ritirato dalla Collega Cinzia Fontana, alla quale lo avevo fatto firmare per prima, essendo costretta a limitare il numero degli emendamenti a mia prima firma.
La stessa Anci Nazionale ha posto tra le priorità il tema dello sblocco completo del turn over, ma per i Comuni del nostro territorio quella della carenza del personale è ormai una vera e propria emergenza, visto che da una analisi del giugno scorso del personale in servizio presso i Municipi della Marca trevigiana si è riscontrata una media di 3,85 dipendenti ogni 1000 abitanti, contro una media di 5,65 nei comuni del Veneto e di ben 6,89 a livello nazionale (secondo il 4º rapporto IFEL-ANCI). I limiti dell'attuale normativa penalizzano dunque molto di più i Comuni che hanno già poco personale e sono evidentemente in forte sofferenza per garantire i servizi essenziali (demografici, sociali, lavori pubblici, polizia locale...). Oltre a penalizzare anche i nostri giovani rispetto alla possibilità di assunzione nei nostri Comuni, aggiornandone e innovandone le competenze. L’obiettivo dei miei emendamenti era quello di risolvere in particolare il problema dei Comuni sopra i 10 mila abitanti che hanno una media dipendenti/abitanti estremamente bassa rispetto alla media nazionale. Quanto previsto nel disegno di Legge di Bilancio consente infatti l’assunzione al 100% del turn over solo nei Comuni sotto i 10 mila abitanti e solo al 50% per quelli con più di 10.000 abitanti. Lo sblocco anche per questi era compensato nel mio emendamento favorendo le assunzioni solo per i Comuni con un bassissimo rapporto medio dipendenti/popolazione, dal momento che prevedevo questa possibilità solo in presenza di un rapporto medio dipendenti/popolazione inferiore addirittura del 50% a quello stabilito dal Decreto ministeriale per i Comuni in stato di dissesto!
Alcuni altri emendamenti, da me presentati anche lo scorso anno su richiesta di Anci Veneto, favorivano lo sblocco dell'utilizzo degli avanzi liberi da vincoli (risultanti dal rendiconto dell'anno precedente delle amministrazioni locali), pari ad una cifra di circa 1,5 miliardi di euro a livello nazionale, 1/3 dei quali nelle casse dei Comuni veneti, per finanziare interventi di investimento già progettati, a effettivo sostegno degli obiettivi del Governo per la crescita e l’occupazione, in quanto misura che prevedevo solo a favore di Comuni con disponibilità di risorse vera ed immediata in cassa e con basso indebitamento, oltre che con un esiguo fondo crediti dubbia esigibilità, avendo essi dimostrato una buona capacità di realizzare le proprie previsioni di entrata. Al contrario quindi della formulazione della norma in Legge di Bilancio che paradossalmente dà più spazi di spesa agli investimenti finanziati con mutui onerosi e ai Comuni che hanno un fondo crediti dubbia esigibilità più elevato. Una proposta, la nostra, che avrebbe quindi premiato i Comuni virtuosi, a beneficio della crescita del Paese, ma che non è stata condivisa né dall'Anci nazionale, né dal Governo, nonostante lo stesso Matteo Renzi avesse sostenuto nell'incontro con i Sindaci a Treviso del 5 ottobre scorso l'opportunità di approvarla.
L'APT (Azienda di Promozione Turistica) di Venezia era un Consorzio costituito tra enti locali, ovvero l'allora Provincia di Venezia ed i Comuni di Concordia Sagittaria e Cavarzere che detenevano cadauno lo 0,33 delle quote sociali, mentre il 99,64% era della Provincia oggi Città Metropolitana. Dal punto di vista giuridico-istituzionale era più precisamente un Consorzio che operativamente agiva quale azienda consortile per la gestione dei servizi di informazione ed accoglienza turistica nella città di Venezia e lungo l'omonima costa adriatica, oltre che per la registrazione dei dati statistici turistici e la promozione turistica.
Nel 2010 contava 110 persone, ridotte poi a 70 nel 2015, per le scelte (o mancate scelte) operate dalla stessa Provincia e dalla Regione Veneto, entrambe in salde mani leghiste. Di questa settantina, 48 hanno trovato collocazione negli enti locali o loro società partecipate, mentre gli ultimi 22 sono stati licenziati in via definitiva in data 22 luglio scorso, ex lege n. 223/1991. Trattasi di lavoratori che hanno già impugnato in sede giudiziaria il licenziamento, che presumibilmente verrà discusso e deciso entro pochi mesi, ma che non hanno grandi speranze di una soluzione positiva della vertenza.Tutto si innesta, infatti, da un lato, in un cambiamento della normativa regionale che lascia “un vuoto operativo” nel controllo dell’imposta di soggiorno e delle autorizzazioni locative; dall'altro in una carenza normativa del decreto legislativo n. 175 del 19 agosto 2016, in materia di società partecipate pubbliche, rispetto al personale dei consorzi tra enti locali che gestiscono funzioni amministrative.
Il testo dell'emendamento da me proposto ricalcava quanto già previsto per il personale delle sopprimende aziende speciali delle Camere di Commercio che aveva un contratto di lavoro privatistico, consentendo anche ai dipendenti di questi consorzi tra enti locali di immettersi nel circuito della mobilità territoriale previsto dal predetto d. Lgs. n. 175/2016.
A seguito della dichiarata inammissibilità del mio emendamento, per estraneità di materia alla Legge di Bilancio, ho presentato poi ricorso al presidente della Commissione V della Camera dei Deputati, on. Francesco Boccia, cercando di spiegare come, in esecuzione di disposizioni legislative nazionali e regionali, sono da tempo operative e l’imposta di soggiorno in città ad alta valenza turistica (ad esempio Venezia) e la conseguente organizzazione del servizio di raccolta e verifica dell’imposta stessa derivata dalla rilevazione degli ospiti registrati nelle strutture ricettive sia alberghiere che extra alberghiere. Peraltro nel mentre l’imposta di soggiorno costituisce un gettito per le casse comunali, la rilevazione degli ospiti in termini di arrivi e presenze costituisce uno dei parametri indicativi e significativi per una corretta individuazione nell’attendibilità del reddito d’impresa nel suo ammontare complessivo con le fruttuose conseguenze sul piano delle entrate fiscali per lo stato. Va da sé che se gli organici a ciò preposti sono azzerati, si affievolisce – di molto - la possibilità di avere dati statistici certi e certificati nonché incasso e recupero dell’imposta di soggiorno dovuta per legge. L’emendamento proposto avrebbe quindi consentito di nel circuito della mobilità del pubblico impiego il personale già in organico ed in servizio nelle aziende speciali istituite e costituite per sopracitate funzioni amministrative, ma poste in liquidazione e le cui unità sono state licenziate, a costo zero per lo Stato e la finanza pubblica, considerato che compete ai singoli enti locali procedere alle eventuali assunzioni, fermo restando tutti gli altri vincoli già esistenti in materia, che consentirà anche ai dipendenti delle cessate aziende speciali e dei consorzi degli enti locali di fruire di un’opportunità prevista dall’ordinamento equiparandoli -per questo aspetto- ai loro colleghi già dipendenti delle società a partecipazione pubblica.
Purtroppo è stata confermata l'inammissibilità dell'emendamento, ma - come ho assicurato ai lavoratori interessati - non ci daremo per vinti e lo ripresenterò nel primo provvedimento utile del nuovo anno.
Da tempo la collaborazione con Nicoletta Gozo, coordinatore dei Progetti Lumière & Pell dell'ENEA, insieme alla dottoressa Saveria Sechi, dell'ufficio legislativo del Pd alla Camera, è stata per me preziosa per elaborare una proposta che promuove a livello nazionale la gestione efficiente della Pubblica Illuminazione per migliorare la qualità della vita e dell'ambiente. Dopo essere stata testimone come sindaco di Roncade della bontà del Progetto Lumière per la riqualificazione integrata ed ecosostenibile della PI nel mio comune (intervento realizzato utilizzando il risparmio conseguito negli anni sui costi della bolletta energetica e delle manutenzioni per ripagare l'investimento, che ha vinto nel 2015 il Premio di Legambiente Innovazione Amica dell'Ambiente nel settore PA), ho depositato infatti nel 2014 una proposta di legge per l'ammodernamento tecnologico di quella infrastruttura nazionale che è la rete degli impianti di PI (di quasi 10 milioni di punti luce), con obiettivi di efficientamento del servizio, riduzione dei consumi, abbattimento delle emissioni di CO2, utilizzo di efficienti meccanismi di ingegneria finanziaria per gli investimenti necessari, implementazione di servizi di smart services, crescita del Pil e dell'occupazione (a questo link trovi la proposta di legge: Progetto di legge della 17legislatura). Oggi gli strumenti Lumière e Pell, se inseriti attraverso una legge nazionale in una strategia integrata per la gestione intelligente e sostenibile della PI nell'intero Paese, consentirebbero anche di mettere a punto una infrastruttura omogenea di censimento, controllo e monitoraggio trasparente e super partes delle condizioni degli impianti e delle loro prestazioni. Tradotto: più qualità del servizio per i cittadini, più sicurezza e più bellezza nelle nostre città, oltre un terzo di riduzione dei consumi energetici attuali e 1.000 tonnellate per anno di emissioni di anidride carbonica in meno, più occupazione. Sto per questo preparando un nuovo disegno di legge, che aggiorni la precedente proposta agli avanzamenti tecnologici dell'ENEA. Intanto ho provato ad inserire nel Bilancio 2017 un emendamento per affrontare in modo intelligente il tema della riduzione della spesa pubblica corrente sostenuta dai Comuni per la pubblica illuminazione, favorendo investimenti sulla riqualificazione della rete utili al monitoraggio dei milioni di punti luce che si calcola ci siano in Italia. In che modo? Incentivando le spese sostenute dagli enti locali, effettuate a valere sull'avanzo di amministrazione e su risorse rivenienti da trasferimenti a qualunque titolo e da ricorso al debito, per il censimento dei quadri elettrici e dei punti luce, per l'installazione di dispositivi di misurazione (smart meters) sui quadri elettrici afferenti all'illuminazione pubblica, e per la trasmissione dei dati relativi agli impianti di pubblica illuminazione alla piattaforma PELL (Public Energy Living Lab) dell'Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l'energia e lo sviluppo economico sostenibile (ENEA), nonché le spese di parte corrente e in conto capitale degli enti locali e territoriali, relative a progetti di messa in sicurezza, di riqualificazione energetica, di ammodernamento tecnologico degli impianti di illuminazione pubblica e per l'applicazione, in tali impianti, di tecnologie per la fornitura di servizi di interesse pubblico quali gli Smart Services complementari. Purtroppo il mio emendamento non ha avuto successo.