Il referendum sull’autonomia è uno strumento da maneggiare con cura: l'ho spiegato al Gazzettino del 23 maggio scorso (clicca qui per leggerlo). Vale sia a chi ancora in questi giorni ha continuato ad equivocare parlando di autonomia e indipendentismo come fossero due stadi dello stesso percorso, sia a chi continua a parlare di referendum-truffa.
Zaia non faccia l’errore che fece Bossi, che portò avanti la strategia del federalismo dicendo che il secondo stadio sarebbe stato l’indipendentismo: questo è il modo migliore per far fallire l’obiettivo dell’autonomia, perché mettendola così non costruirà le alleanze necessarie, né in Veneto né nel Paese. Lo spiegava nel ‘96 Giorgio Lago, ricordando che il federalismo è l’opposto dell’indipendentismo, perché serve invece ad unire un Paese già diviso da divari culturali, sociali ed economici. Allora il motto deve essere: autonomia e federalismo ad ogni costo, punto! Perché è questo l'unico grande progetto politico all'orizzonte capace di rafforzare la coesione della Repubblica, cambiando dal basso uno Stato centralista ed inefficiente, partendo da territori e comunità già pronti a raccogliere la sfida della responsabilità, della sussidiarietà e della competitività.
Ma sbaglia anche chi, parlando di truffa, continua ad ignorare il fatto che il referendum è stato dichiarato legittimo dalla Corte Costituzionale a fronte del ricorso del Governo, dando ai veneti l’opportunità di uno strumento di democrazia diretta che assolve proprio alla funzione di ‘avviare, influenzare o contrastare processi decisionali pubblici’, qual è il successivo negoziato. C’è qualcuno che pensa che la Corte Costituzionale si sia resa complice di una truffa ai danni del popolo veneto? La vera truffa è piuttosto quella di aver approvato nel 2001 una riforma della Costituzione in senso federalista che, per l’incapacità della politica regionale e nazionale, attende ancora dopo 16 anni di essere attuata. Ecco a cosa serve il referendum: avere finalmente uno strumento democratico di grande forza politica per vincere la formidabile resilienza opposta dagli apparati centrali all’attuazione del federalismo costituzionale. E il termine ‘resilienza’ non è mio, ma della Corte dei Conti.