Quattro giorni fa, a Venezia, il presidente della Camera Roberto Fico ha affermato che «quello sull’autonomia è un tema talmente importante che il Parlamento deve essere assolutamente centrale», quindi «non si limiterà a dire solo sì o no, ma sarà protagonista di un percorso ampio e strutturato». Per chi conosce il linguaggio dei palazzi romani è chiaro che si sta cercando di seppellire l’autonomia nelle sabbie mobili dei meandri parlamentari.
Non è un caso che sull’iter di approvazione delle intese sull’autonomia, sia il disegno di legge approvato dal Governo Prodi nel dicembre 2007, sia il Documento approvato in Commissione Bicamerale per gli Affari regionali il 6 febbraio 2018, sia gli Accordi preliminari sottoscritti dal Governo Gentiloni con i Presidenti di Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna il 28 febbraio 2018, avessero previsto di applicare il procedimento di approvazione delle intese tra Stato e confessioni religiose stabilito dall’art. 8, terzo comma, della Costituzione, intese che il Parlamento non può emendare, ma solo approvare o respingere in toto. Un modo per impedire a chi si oppone di fare melina, che è invece l’obiettivo vero di chi oggi si erge a difensore del ruolo centrale del Parlamento, dopo aver consentito al Governo di mettere la fiducia su un maxi-emendamento alla legge di Bilancio 2019 che i parlamentari della maggioranza hanno dovuto votarsi all’ultimo momento a occhi chiusi.
È chiaro dunque che, se prevale la linea del Presidente Fico, l’autonomia in questa legislatura non si farà. L’ha ammesso domenica a Vicenza, incalzato dal giornalista Gian Antonio Stella, anche Roberto Maroni, già presidente della Regione Lombardia, ospite del Festival CittàImpresa.
E allora che si fa? Una strada da provare ci sarebbe. Infatti, in realtà un Accordo sull’autonomia prevista dall’art. 116, terzo comma, della Costituzione esiste già. Come ha ricordato domenica lo stesso Maroni, si tratta di quello sottoscritto dal Governo Gentiloni il 28 febbraio 2018 con ciascuno dei presidenti delle Regioni Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna. Certo, è un Accordo limitato a cinque materie (ambiente, salute, istruzione, politiche del lavoro, rapporti internazionali e con l’UE), ma stabilisce con chiarezza i criteri per il passaggio di risorse ed investimenti al territorio che si può portare subito alle Camere per mettere tutti i parlamentari di fronte alla responsabilità istituzionale e politica di attuare precisi principi e norme costituzionali e in particolare di dare seguito alla chiara volontà espressa dalla maggioranza dei Veneti nel referendum del 22 ottobre 2017.
Dunque al Presidente Zaia dico: esiga da Salvini e dal premier Conte che l’Accordo siglato il 28 febbraio 2018 sia presentato subito in Parlamento. Se sarà approvato si inizierà a portare a casa almeno qualche risultato concreto. In caso contrario sarà chiaro che Governo e Parlamento l’autonomia non la vogliono riconoscere e quindi la parola deve tornare ai cittadini nelle urne.
Simonetta Rubinato
Presidente Veneto Vivo