La direzione nazionale di giovedì scorso ha ridimensionato la polemica seguita alla presentazione del documento dei 75. Non poteva che essere così, visto che quell’iniziativa politica è stata messa in campo “per” e non “contro” il Partito democratico, dunque tanto meno “contro” l’attuale segretario Bersani.
Il punto è che alle ultime elezioni regionali, mentre il Pdl perdeva 40 voti ogni 100 rispetto alle politiche del 2008 in termini assoluti, noi ne abbiamo persi 44 e che da ultimo l’indice di fiducia degli italiani nei confronti del Pd è sceso di 15 punti, attestandosi al 26% (e non stiamo parlando di di voti, ma di fiducia). Un’emorragia che continua nonostante nessuno abbia messo in discussione nell’ultimo anno la leadership di Bersani e che responsabilmente deve far riflettere tutto il partito senza aver paura del confronto sulle idee e sulla linea politica e senza che ciò significhi mettere in discussione l’unità del partito. L’unità del partito è piuttosto messa in discussione da coloro i quali sembrano apprezzare l’ipotesi che qualcuno la finisca di discutere dentro il partito per uscirne ed andare verso un non meglio identificato centro moderato, che tanto poi con questi ultimi ci si può sempre alleare, secondo il noto schema di D’Alema, in parte condiviso dalla linea politica uscita vincente dalla primarie con la segreteria di Bersani.
Il punto, inoltre, è che dal Congresso è uscita, insieme ad una linea politica vincente, anche una linea di minoranza, ovvero Area Democratica. Ebbene, se la linea politica uscita vittoriosa dalle primarie dello scorso anno appare oggi inadeguata a vedere i dati su citati, ci si chiede: è corretto, è opportuno che la minoranza, senza neppure discuterne al suo interno, passi in maggioranza solo perché una parte di essa ha fatto un accordo con il segretario? Non è piuttosto più coerente, oltre che un bene per il partito, che continui ad essere minoranza leale, ma proprio per questo di pungolo e di stimolo, alla maggioranza per cercare di far cambiare la linea politica che ha esternato quest’estate (senza mai riunire gli organi per discuterne) seminando su alleanze ed ipotesi di governo di transizione e di comitati di liberazione da Berlusconi (da Vendola a Fini passando per Rutelli e Casini, senza escludere Ferrero e Diliberto) almeno altrettanto sconcerto di quello che si dice abbia fatto in queste settimane il documento di Veltroni?
Abbiamo invece assistito al passaggio in maggioranza di Franceschini, Marini e Fassino in nome dell’unità del partito (e forse di qualche assunzione di responsabilità nell’organizzazione del partito) senza alcun cambiamento da parte della segreteria della propria linea politica (Bersani in direzione ha esordito dicendo “non ho niente di sostanziale da correggere nella mia impostazione, la bussola c’è ed è nel mio discorso di Torino”) e senza alcuna discussione all’interno di Area Democratica (riunita il giorno prima della Direzione a seguito del documento dei 75).
L’astensione in Direzione sulla relazione del segretario è stata dunque niente più che la conferma che nel partito rimane una parte a rappresentare in minoranza la linea politica che Franceschini aveva proposto alle ultime primarie, in coerenza con le ragioni fondative del Lingotto. E lo fa convinta di essere nel giusto, anche sulla base dei dati negativi rilevati alle ultime elezioni e nei sondaggi, e di fare un servizio al partito tenendo aperto un confronto sulla linea politica e sui temi programmatici, perché come bene ha detto il sen. Tonini “i compromessi verbali possono risolvere i problemi tra noi, al nostro interno, ma non nel Paese. Sul tema del lavoro la nostra assemblea di maggio ha trovato l’unanimità su una linea di compromesso, ma quel documento non parla al Paese, come invece avrebbe potuto fare la proposta di Ichino. Ecco noi, questa sana inquietudine nel rapporto col Paese la dobbiamo coltivare o verremo meno alla nostra funzione. Dobbiamo chiederci perché siamo maggioranza nel ceto medio intellettuale e siamo minoranza nei ceti produttivi. Per questo occorre una dialettica vera, aperta e trasparente (e non un unanimismo di facciata), pur mantenendo nella minoranza la propria lealtà nei confronti del segretario Bersani”.
Volevo intervenire in direzione, essendo una dei firmatari del documento, ma non è stato possibile per il contingentamento degli interventi da parte della Presidente Bindi.
Avrei voluto citare Obama, che ha detto: “Una delle cose straordinarie che ti accadono a Washington è capire che tutto ciò che fai viene visto come una cosa calcolata. Per questo non perdo molto tempo a preoccuparmi di come le mie parole vengono interpretate. Tutto ciò che posso fare è rendere queste parole il più vere possibili”.
Lo spirito con cui ho sottoscritto il documento è lo stesso con il quale ho fatto appello ad una gestione corresponsabile ed unitaria della segreteria provinciale di Treviso: fare il possibile per unire le forze e le risorse per non ammazzare in fasce un partito che fatica a farsi riconoscere dalla gente come alternativa di governo nonostante il berlusconismo sia al tramonto. A Treviso il segretario uscente ha accolto il nostro contributo (il documento Innovazione Democratica). A livello nazionale le reazioni al documento dei 75 sono state invece scomposte, eccessive, strumentali ed hanno contribuito non poco allo sconcerto ed alla confusione, oltre che alla rabbia che sono emerse nella base, e di cui posso dare anch’io testimonianza. Ma potrei anche testimoniare come alla base ci sia molta più consapevolezza delle difficoltà del partito, del bisogno di parlare alla gente sui temi concreti con contenuti innovativi, dell’insoddisfazione per la percepita inadeguatezza della linea politica della segretaria e della capacità comunicativa del partito. Insoddisfazione che è agevole catalizzare contro chi viene accusato di minare l’unità del partito. Ne è conferma il sondaggio pubblicato sul Corriere della Sera di oggi, che vi allego.
Bastava accogliere il documento come un contributo alla discussione e ci saremmo evitati tutto ciò, com’è stato fatto peraltro dagli esponenti del partito nei confronti del documento dei giovani turchi, che pure era assai più duro e assai critico con la dirigenza.
Coglie bene lo spirito con cui ho firmato il documento dei 75 l’intervento in direzione di Arturo Parisi, che ho molto apprezzato. E l’on. Parisi non ha certo sottoscritto il nostro documento.
Simonetta Rubinato
CONSULTA IL SONDAGGIO PUBBLICATO DA IL CORRIERE DELLA SERA (1,5 MB con immagini)
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