L'intervista del Gazzettino per la settimana dell'Autonomia: serve dare rappresentanza al voto referendario di due anni fa

10 novembre 2019

L’organizzazione della 2a Festa dell’Autonomia è stata l’occasione di una intervista del Gazzettino alla sottoscritta, pubblicata sabato 26 ottobre scorso, nella quale - a due anni dal referendum che ha visto 2,3 milioni di Veneti recarsi a votare in una giornata di pioggia in numero superiore a quello registrato nelle elezioni regionali del 2015 (quando tutti i partiti erano mobilitati per la partecipazione elettorale) - ho spiegato la mia copinione che in Veneto è necessario impegnarsi per far nascere un movimento regionale sul modello della Südtiroler Volkspartei o della Csu bavarese che riunisca i veneti che vogliono l'autonomia differenziata nel solco della Costituzione italiana e all’interno di un'Europa delle Autonomie locali.

Alla domanda della giornalista se fossi ancora iscritta al PD ho risposto che lo sono stata fino al 2018, ma che non ho rinnovato l’iscrizione nel tesseramento 2019 in corso: “il mancato rinnovo – ho spiegato - è solo la presa d'atto della divergenza dell'attuale progetto politico del Pd rispetto a quello originario, oltre che della profonda distanza maturata con la sua classe dirigente in Veneto sin dalle primarie del 2014 e soprattutto dopo il mio impegno per il referendum sull'autonomia. Non l'ho fatto prima per rispetto degli elettori che mi avevano votato come parlamentare nelle liste del Pd”. E anche per dare il massimo sostegno alla lista civica del sindaco uscente del mio Comune, Pieranna Zottarelli, che ha vinto le elezioni amministrative nel maggio scorso a Roncade contro una Lega fortissima alle Europee.

Una scelta, quella di non rinnovare la tessera, del tutto personale, maturata da tempo, ma che ancora non avevo manifestato pubblicamente. La distanza dell’attuale Pd dal manifesto de “La nuova stagione” di Veltroni del 2007 è del resto evidente: non solo per la recente scelta, dettata da logiche più di potere e convenienza che politiche, di alleanza al governo con il M5S, che pure era stata esclusa categoricamente sia dal precedente segretario Renzi, oggi fondatore di Italia Viva (a proposito: è solo una coincidenza l’assonanza con il nome della mia associazione, che ho costituito un anno e mezzo fa), sia dall’attuale segretario Zingaretti nell’ultimo congresso, ma soprattutto per essere venuti meno valori fondativi per i quali avevo aderito al partito. Il Partito democratico doveva essere “una rete di partiti territoriali federati, profondamente radicati nelle società locali, anche se culturalmente aperti a una prospettiva nazionale, europea e globale”, dunque “un partito federale, in grado di dare espressione alla diversità delle realtà territoriali” (così Veltroni in “La Nuova stagione”), mentre in questi anni si è seguita la logica contraria, quella di un partito centralizzato con sezioni regionali periferiche (certo, anche per responsabilità di chi ad es. in Veneto ha guidato il partito regionale non in linea con lo Statuto, ma con logiche di fedeltà di filiera strumentali anche alle carriere personali). E un partito non autenticamene federale non poteva che allontanarsi dagli obiettivi del decalogo di Veltroni, tra i quali quello di “completare la riforma federale dello Stato, attuandone gli aspetti più innovativi, a cominciare dal federalismo fiscale e dalle forme particolari di autonomia che possono avvicinare le regioni a statuto ordinario alle autonomie speciali”. Così sempre in ‘La nuova stagione’. Pensare invece che la Segreteria regionale di fronte al referendum sull’autonomia differenziata ammesso dalla Corte Costituzionale (sulla base dell’art. 116, 3° comma della Cost., norma approvata dal centrosinistra nel 2001) si è spaccata e alla fine ha balbettato un ‘Sì, ma non serve andare a votare e comunque con questo referendum si sprecano risorse’, mentre la maggioranza dei consiglieri regionali e dei parlamentari ha deciso di astenersi, anche perchè tutti i leader nazionali del partito sono venuti a spiegarci che il referendum era inutile, se non per fare propaganda a Zaia.

Soprattutto dopo il mio impegno per promuovere la partecipazione al referendum sull’autonomia (con il “Comitato Veneto Vivo per il Sì” ed il libro “La spallata”) ho sentito di essere per la dirigenza una sorta di eretica, sopportata invece che considerata utile alla causa, nonostante come parlamentare del Pd avessi fatto approvare una norma (il comma 571 dell’art. 1 della Legge di Stabilità 2014) che consegnava all’allora Gruppo consigliare regionale lo strumento per incalzare il presidente della Regione sul progetto dell’autonomia differenziata per il Veneto, che Zaia allora definiva ‘un’aspirina’ non avendone compreso la portata riformatrice. E questo perché la dirigenza del Pd, a tutti i livelli si è rinchiusa in logiche conservative ed autoreferenziali di fedeltà di corrente o personale, mentre il partito doveva essere una “infrastruttura civile aperta alla partecipazione dei cittadini” (in “La nuova stagione”). Si ripete spesso che il Partito democratico è plurale, ma la pluralità non sta negli accordi interni tra persone che arrivano da storie politiche diverse, ma nell’essere aperti ad una autentica discussione plurale in cui tutte le voci hanno pari dignità e alcune non sono solo tollerate. “Un democratico – scriveva Veltroni ne ‘La Nuova stagione’ citando Mendès France - è innanzitutto un uomo che non smette di sottomettere all’opinione pubblica, nella maniera più chiara, più completa, meno demagogica, i problemi che si pongono e le soluzioni che egli crede di dover difendere”. Invece il referendum veneto sembra che nulla abbia insegnato alla nomenclatura del Pd, visto che ancora oggi si continua a svilire l’importanza di quel momento di democrazia diretta e che chi ha dimostrato di saper interpretare il sentiment del popolo veneto è stato emarginato.

Con il risultato, come ho dichiarato al Gazzettino, che cinque anni dopo la batosta presa con la candidatura della Moretti, il Pd non ha ancora messo in campo l'alternativa a Zaia per il 2020. L’unica novità è data dall’iniziativa del Partito dei Veneti, ma mantiene l'estrazione indipendentista. Mentre nella Lega di Salvini prevale il sovranismo, che non fa rima con federalismo. Qui però l'autogoverno ce l'abbiamo nel Dna, deriva da una storia millenaria, persino Bisaglia aveva pensato a fare una DC veneta. Ecco perché ritengo ci sia spazio e sia utile impegnarsi per un movimento regionale autonomista e federalista, che si possa federare a livello politico nazionale e sia aperto alla prospettiva dell’Europa delle Regioni.

 


pubblicata il 10 novembre 2019

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