Referendum, partire dagli errori per costruire la proposta

06 dicembre 2016

Domenica 4 dicembre, la vittoria del No al referendum sulla riforma costituzionale, è stata generale, salvo in tre regioni per una minima differenza a favore del Sì, con percentuali bulgare in Sicilia e Sardegna, dove peraltro la partecipazione al voto è stata molto più bassa rispetto al resto del Paese. Il che conferma la complessità del passaggio, non riducibile a un voto contro Renzi (che peraltro ha conquistato pressoché da solo il 40% dei consensi) e a favore del M5S, della Lega di Salvini o di FI a guida Berlusconi. Da un lato ci sono gli elettori che stando sul tema, nonostante ci si sia impegnati a spiegare le ragioni delle modifiche, non hanno gradito una riforma troppo corposa e difficile da capire nelle conseguenze, e nel dubbio hanno preferito non rischiare, optando per tenersi la Costituzione che c'è. Era già accaduto peraltro nel 2006 quando gli italiani bocciarono la riforma di Berlusconi.
 
Certamente in un’altra parte del voto si è riflessa invece la rabbia, la protesta, l’insofferenza di tante persone che soffrono per la crisi e che non hanno ancora percepito risultati concreti dalle riforme pure messe in campo dal Governo.
 
Poi ci sono gli errori fatti da Renzi, di caricare la riforma di un giudizio sul Governo, di pensare di vincere da solo contro tutti, attorniandosi di testimonial lontani dalla vita reale della gente. In Veneto e in particolare in provincia di Treviso e Vicenza, molto simili nel tessuto sociale e produttivo, secondo me ha contato la rabbia - amplificata dal web - di tanti piccoli risparmiatori per la vicenda delle due popolari e di molti piccoli imprenditori, impoveriti dalla crisi di questi anni, unita al timore che la riforma potesse riportare a Roma troppo potere, ad es. nella sanità, lasciando intatti i privilegi delle regioni speciali confinanti. A cui va aggiunta la paura per i migranti e la percezione di insicurezza. E la sfiducia dei giovani nella politica.
 
Sempre per stare al risultato nel Veneto, ho trovato molto aderente alla realtà l’analisi fatta in un’intervista al Corriere del Veneto del 6 dicembre dal governatore Luca Zaia, che ribadisce quanto da tempo vado dicendo all'interno del Partito Democratico Veneto e che il 24 settembre scorso avevo detto personalmente anche a Matteo Renzi. Inascoltata purtroppo. "Qui tutti i governi che bocciano l’autonomia passeranno guai seri... – spiega Zaia - . Ora, prima si fa il referendum, come detto anche dalla Consulta, poi parte la trattativa politica a Roma, qualunque sia il governo in carica. Lo dico a chi medita di candidarsi a premier e venir qui a fare campagna elettorale: per noi al primo posto c’è l’autonomia. Questo vale per il centrosinistra, e vedremo se ha imparato la lezione, ma anche per il centrodestra, che non deve pensare di avere vita facile qui. Se non ci danno l’autonomia passano un guaio, Lega compresa. Lo dico agli amici politici: non guardiamo in faccia a nessuno... Renzi era venuto qui a dire che il referendum per l’autonomia è inutile, a fare comizi e promesse, a firmare patti come certi sindaci della Prima Repubblica che asfaltavano le strade alla vigilia delle elezioni. Ha preso i veneti per degli sprovveduti. Eppure è una persona intelligente... credo abbia avuto dei pessimi consiglieri che l’hanno portato fuori strada. E anche un pessimo spin doctor: come fai a sovraesporti in questo modo, ad aprire mille fronti insieme?".
Da tutto questo dobbiamo ripartire con una proposta credibile. E le forze politiche, ad iniziare dal Partito Democratico, dovrebbero rispettare la volontà degli italiani dimostrando un di più di responsabilità a tutela dell’interesse del Paese.


pubblicata il 06 dicembre 2016

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