Pagina 7, Regione
VENEZIA Tradotto dall’hashtag della campagna catalana «#ontotcomença », lo slogan veneto è già pronto: «’ndo tuto scominsia », dove tutto ha inizio. Ma se appunto l’esito del voto amministrativo in Catalogna ha dato avvio al processo politico di disconnessione da Madrid, il Veneto ancora si interroga e si divide attorno alla futura natura del suo rapporto con Roma, mescolando in queste ore entusiasmo e freddezza. Per ora l’unica certezza è che la giunta regionale ha pronta la delibera sui 131.000 euro raccolti (a fronte di un obiettivo di 14 milioni) per il referendum sull’indipendenza bocciato dalla Corte Costituzionale: non appena gli uffici Ragioneria e Servizi Elettorali avranno definito i criteri, i soldi saranno restituiti ai donatori, visto che tutt’al più potrà essere celebrata la consultazione sull’autonomia, con fondi propri dell’ente. Il nodo da cui occorre ripartire per tentare di sbrogliare l’intricata matassa è infatti la sentenza emessa giusto tre mesi fa, secondo cui l’ipotizzato referendum sull’indipendenza «suggerisce sovvertimenti istituzionali radicalmente incompatibili con i fondamentali principi di unità e indivisibilità della Repubblica», mentre quello sull’autonomia può essere svolto entro i limiti costituzionali purché venga poi seguito dall’approvazione a maggioranza assoluta di una legge statale di iniziativa regionale. «Ma sarebbe come chiedere ai bambini se vogliono bene alla mamma: certo che sì. Invece - dice Antonio Guadagnini, capogruppo di Indipendenza Noi Veneto - dobbiamo andare oltre, forti della risposta delle urne catalane, le quali hanno dimostrato che il potere di decidere le forme di governo è in capo ai cittadini e non alle burocrazie. Per questo chiediamo a Luca Zaia di essere il nostro Artur Mas, guidando il processo che dalla sensibilizzazione sul territorio, attraverso sondaggi in 100-200 Comuni, dovrà portare all’indizione di nuove elezioni, il cui risultato dovrà essere interpretato come un referendum».
Al momento però il governatore si limita ad osservare: «La via giuridica indicata da Mas e dalla Catalogna può sicuramente essere utile anche al Veneto», attribuendo al presidente della Generalitat de Catalunya una doppia responsabilità, «perché se si fallisce in Catalogna, si fallisce ovunque». Dunque pure in Veneto, dove Alessio Morosin ha già visto tramontare col 2,5% dei consensi il sogno di amministrare la Regione proprio con il marchio programmatico di Indipendenza Veneta. «Ma quella è stata colpa della lista-civetta voluta da Zaia - attacca - mentre noi non ci accontentiamo di questuare autonomia dallo Stato. Abbiamo ingaggiato dei giuristi per elaborare una nuova legge referendaria, da approvare entro 12 mesi, altrimenti entro 24 mesi bisognerà sciogliere il consiglio regionale e andare ad elezioni anticipate, dove gli indipendentisti dovranno presentarsi in una coalizione aperta anche alla sinistra».
Quelli di «Sanca Veneta», propaggine sinistrorsa della galassia venetista, ieri hanno ritwittato il commento con cui la dem Simonetta Rubinato sottolinea il record dell’affluenza catalana: «Segno che la gente partecipa quando crede che il proprio voto abbia un peso». E secondo la deputata, le ragioni non mancano: «Il Veneto sopporta un grande peso fiscale ma è storicamente penalizzato nei trasferimenti, per cui lo Stato viene percepito come esoso, inefficiente e burocratico». Per il Partito Democratico la soluzione sta nell’emendamento citato dal senatore Giorgio Santini, «che rafforza la praticabilità dell’autonomia responsabile da parte delle Regioni, peraltro già prevista dall’articolo 116 della Costituzione e mai utilizzata dal Veneto». Forse però una qualche convergenza con la Lega Nord, su questo, può essere trovata. «In Lombardia anche il Pd ha dichiarato di volere maggior autonomia regionale», annota il presidente del consiglio regionale veneto Roberto Ciambetti. «Dobbiamo essere realisti e centrare l’obiettivo a cui si punta, senza vendere fumo - afferma il capogruppo Nicola Finco - per questo vogliamo concentrarci sul percorso dell’autonomia, cominciando dal referendum. E non c’è contraddizione con il progetto nazionale di Matteo Salvini, che è solo una strategia di governo».
L’importante, avverte il costituzionalista Sandro De Nardi, è evitare i confronti troppo facili tra Veneto e Catalogna: «Fra i sostenitori della secessione è invalsa la moda dello “shopping istituzionale” negli altri Paesi, come se si potesse prescindere dal contesto costituzionale ed istituzionale di riferimento, secondo un diritto comparato à la cart e in cui si sceglie solo ciò che fa comodo. Parliamo di realtà diverse». Angela Pederiva