Il ministro Boschi: «Non aspetteremo altri 70 anni per l’ostruzionismo di Calderoli»
L’appello del sindaco di Vicenza: il governo sblocchi il patto di stabilità ai Comuni
di Albino Salmaso
PADOVA «La riforma costituzionale del Senato verrà approvata entro il 13 ottobre. Se ne parla da vent’anni, ci ha provato Prodi con l’Ulivo, poi Berlusconi con la Lega. La mia proposta raccoglie i suggerimenti della commissione dei saggi di Napolitano nominati dal governo Letta. Il bicameralismo perfetto va superato, in 18 mesi ci sono stati 3600 interventi e 4400 voti, la Costituzione fu approvata con 700 votazioni: non è vero che siamo ossessionati dalla fretta, si è perso troppo tempo e non la daremo vinta a Calderoli: i suoi 85 milioni di emendamenti richiederebbero 70 anni per essere votati». Maria Elena Boschi, raffinata e sorridente, fa capire che la linea non cambia: entro il 13 ottobre nascerà il Senato delle autonomie locali, 100 rappresentanti designati dalle Regioni e dalle città metropolitane. «L’ultima parola spetta agli italiani, nel 2016 ci sarà il referendum», dice il ministro che arriva all’abbazia di Praglia alle 14.30. Ad accoglierla è padre Timoteo, il vicepriore, «scortato» dai big del Pd: Alessandra Moretti, che si coccola la figlia; il senatore Giorgio Santini organizzatore della convention dei renziani postdc e Roger De Menech, il segretario regionale che ha rassegnato le dimissioni dopo il ko alle elezioni. C’è anche Alessandro Zan, il deputato Pd e leader Arci Gay, convinto che la legge sulle unioni civili non verrà approvata entro il 15 ottobre per colpa dell’ostruzionismo Ap-Ncd e non certo di Sel, più che mai determinato nella battaglia per la parità di diritti, come la storia di Vendola insegna. La Boschi sorride e scambia un divertente botta e risposta con Angelo Guzzo, il presidente regionale Pd e consigliere della fondazione Kairos. «Cara Elena, spero che tu ci possa portare fortuna come Rosy Bindi, eletta qui in Veneto con Andreotti: allora, la Dc, aveva 13-14 deputati. Erano gli anni Ottanta», dice Guzzo. La Boschi ascolta, posa per le foto e i video con lo stile di un’attrice, e poi entra in sala dove stanno parlando i tre segretari regionali del Pd. Recitano il «mea culpa» senza l’atto di dolore. Ma il messaggio più appassionato e autorevole arriva dall’ex senatore Paolo Giaretta, sindaco Dc di Padova prima di Zanonato, che mette fine a tutte le ambiguità: «I partiti hanno perso il monopolio nella società, oggi si naviga nel mercato del consenso. Se un leader annoia non attrae gli elettori e il partito diventa pura gestione del potere. Dobbiamo superare le inimicizie rancorose e definire la nostra identità con un progetto che consenta di conquistare la Regione. Si è forti a Roma perché,si è forti in Veneto», ricorda Giaretta che rispolvera l’antico orgoglio della Balena bianca, il partito interclassista del 35% che sapeva parlare ai ceti produttivi veneti, ora abbagliati dalla Lega. Giaretta giura fedeltà a Matteo: «Renzi è una grande occasione per dare un futuro all’Italia ma non basta applaudirlo, bisogna preparargli il terreno, lavorare per le riforme anche in Veneto». La senatrice Rosanna Filippin sposta invece l’analisi su due questioni: stop al Pd veneto autonomista che insegue la Lega sul terreno dell’indipendenza e stop ai vincoli assurdi del patto di stabilità che strangola i comuni virtuosi. Bisogna mettersi al fianco dei sindaci per risalire la china, come ricorda Achille Variati che guida Vicenza, roccaforte Dem in una terra leghista e berlusconiana. Per portare l’Italia fuori dalla crisi va semplificata la macchina amministrativa: abolite le Province, è utile togliere poteri e funzioni alle Regioni, che di fatto amministrano solo la sanità. «Ditemi una sola legge utile approvata dalla regione? Sulla caccia... Basta con le poltrone, ci vuole la spending review: ci sono 3500 enti che fanno appalti, gli Aato (acquedotti) costano 2 miliardi di indennità ai presidenti e consiglieri. Lasciamo Zaia alla sua prepotenza e per tornare a vincere indico una sola strada: basta con Fb, Tw e i forum on line. Torniamo a stringere le mani della gente, che va guardata negli occhi e capita quando soffre. La politica è passione, non sete di poltrone».