Le elezioni hanno decretato il superamento del berlusconismo e del progressismo di vecchio stampo

02 marzo 2013

urneQueste elezioni hanno decretato il superamento del berlusconismo e del progressismo di vecchio stampo. Pd e Pdl hanno perso rispettivamente il 30% e il 50% circa dell’elettorato che li aveva scelti nel 2008. Si tratta di quasi 10 milioni di elettori che hanno scelto di abbandonare i due poli di centrodestra e centrosinistra. Voti che, in buona parte, come dimostrano le analisi, sono finiti al Movimento 5 Stelle che ha saputo raccogliere il malcontento diffuso nel Paese.

Il non aver saputo, in Italia e nel Veneto, sfruttare a proprio favore la grande delusione di milioni di elettori per le tante promesse mancate da parte di Berlusconi e Bossi, è segno che la strategia politica tenuta dall’attuale dirigenza del Partito Democratica è stata perdente. Non è un problema solo di leadership del segretario, ma della stessa linea politica uscita vincente nel congresso del 2009, che ha spostato il baricentro del partito dalla sua originaria vocazione maggioritaria a quella dell’alleanza della sinistra progressista, oltre alla strategia della campagna elettorale, tutta incentrata sul leader nazionale e su una cerchia ristretta di membri della segreteria e dell’esecutivo, oltre ai capilista dei collegi. Senza dimenticare il fatto che si è parlato troppo di alleanze, tattiche, posizionamenti, e poco dei problemi concreti della gente e delle nostre proposte per risolverli.

Queste elezioni confermano perciò quanto da tempo diciamo dalla minoranza del partito: un Pd rinchiuso nel recinto della sinistra progressista (compresa quella conservatrice che oggi prevale anche nella Cgil) con uno spruzzo di cultura cattolico democratica (derivante dalla sinistra democristiana) non è utile al Paese e soprattutto non vince. E’ utile soltanto a mantenere il potere in alcun ristretti territori (da dove pure arrivano segnali che sta perdendo terreno) e assicurare la sopravvivenza della nomenclatura e dell’apparato. Occorre uscire dal fortino delle tradizionali aree di consenso del centrosinistra, vaste ma minoritarie in Italia, avendo il coraggio di applicare l’innovazione sul piano dei programmi e della cultura politica, riformando la stessa forma e organizzazione del partito. C’è bisogno di andare oltre i conservatorismi della destra e della sinistra del secolo scorso per parlare, oltre che al ceto medio intellettuale (in particolare pubblici dipendenti, laureati) e ai pensionati, al grande mondo della produzione: si badi, non tanto alle associazioni di categoria (che a volte rincorriamo con un certo qual senso di inferiorità), ma ai lavoratori autonomi, commercianti, artigiani, piccoli imprenditori, contadini ed operai. Con proposte sulle cose concrete da fare per coniugare ed attuare nel nuovo mondo globale i principi di libertà e solidarietà, di sviluppo e di giustizia sociale, oltre che di sostenibilità ambientale. Un partito che ambisce a governare il Paese non deve parlare solo alla sua base e temere la discussione interna, ma confrontarsi e misurarsi sui temi che interessano a tutti gli elettori italiani. Non possiamo lasciare che sia Grillo a declinare la vocazione maggioritaria.

Quanto al Veneto, che non ci riconosce ancora come una credibile alternativa di governo, l’aver ‘tenuto’ il proprio bacino elettorale non è un successo, come si vorrebbe far pensare, ma una sconfitta. Tanto più che negli ultimi giorni della campagna elettorale la dirigenza aveva fatto intendere che il Veneto era per noi come l’Ohio per Obama. Alla fine la distanza che ci separa dal Centro Destra (arrivato a questo appuntamento malconcio, con una Lega lacerata dalle lotte intestine) è ancora di 250 mila voti, 7 punti percentuali. Se vogliamo ambire a giocarci una chance di vittoria nelle prossime elezioni che ci attendono dobbiamo mettere in campo idee nuove, uomini e donne capaci di parlare a tutta la società veneta, anche a piccoli e medi imprenditori, artigiani, liberi professionisti e partite Iva.
 
 
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pubblicata il 02 marzo 2013

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