La maggioranza di CentroDestra ha scritto un’altra triste pagina di questa legislatura. Giovedì 22 settembre l’aula della Camera ha accolto la proposta della Giunta di negare l’autorizzazione a eseguire la misura cautelare della custodia in carcere nei confronti del deputato Marco Milanese, braccio destro del ministro Tremonti (quest’ultimo ha preferito non farsi vedere in Aula in occasione del voto, facendo stizzire i colleghi deputati del Pdl, costretti invece a salvare il suo protetto).
A carico di Milanese la magistratura ipotizza i reati di associazione per delinquere, corruzione e rivelazione di segreto d’ufficio su indagini svolte dalla Guardia di Finanza. Milanese è accusato di aver scambiato nomine in numerose società controllate dal Tesoro, appalti e segreti giudiziari con soldi e benefit lussuosi: yacht, auto, vacanze, orologi preziosi ed altre utilità. Accuse molto più pesanti di quelle contestate poco tempo fa all’on. Papa, oggi in carcere non avendo potuto contare sui voti della Lega Nord. Milanese si è difeso, sostenendo di non essere il ‘deus ex machina’ delle nomine, di non aver mai ricevuto regali o altre utilità, ma raccontano i boatos del Transatlantico che abbia detto a qualche collega: «Se vado dentro io, non resterò a lungo solo» (dal Corriere della Sera, 22 settembre 2011). Alla fine la proposta della Giunta di negare l’arresto di Milanese è stata approvata con 312 voti a favore e 306 contrari, con le opposizioni compatte e pochi franchi tiratori. Milanese si è ‘salvato’ per soli 3 voti: la maggioranza richiesta era infatti di 309.
Un risultato sul filo del rasoio, accolto con ostentata soddisfazione dal Premier Berlusconi, anche se è già aperta la caccia ai franchi tiratori. Va sottolineato che se Milanese può continuare a sedere sullo scranno parlamentare deve ringraziare soprattutto i deputati leghisti che, trincerandosi dietro il ‘fumus persecutionis’, hanno tradito i loro elettori per salvare Tremonti. Siamo molto lontani dai tempi della Lega ‘forcaiola’ che agitava il cappio in aula. In realtà è chiaro che salvando Milanese, il Carroccio ha salvato per il momento non solo Tremonti, ma anche Berlusconi e Bossi. Credo però che gli elettori della Lega stiano aprendo gli occhi e non siano più disposti a credere alle tante bugie che vengono loro raccontate da chi quando è in Veneto grida ‘Roma ladrona’ e quando è a Roma vota per salvaguardare gli interessi della vera ‘casta’.
La vicenda giudiziaria che vede coinvolto l’on. Milanese è stata ricostruita nella
relazione di minoranza della collega Samperi (clicca qui). Con la sua
dichiarazione di voto (clicca qui), il Pd ha ribadito che Milanese non è un perseguitato politico e ha ricordato alla maggioranza, che ha giustificato il no all’arresto con la necessità di far sopravvivere il Governo per il bene del Paese, che i cittadini devono avere la certezza che chi siede in Parlamento non è superiore, ma soggetto alla legge.
Personalmente credo che questo voto sia stato una sconfitta della massima Istituzione democratica, che ha perso un’altra occasione per dire un “no” fermo alla corruzione, agli scambi di favori, allo sfruttamento di risorse pubbliche a vantaggio di interessi privati. Tuttavia, mi ha colpito che non vi sia stata una forte reazione di indignazione da parte della società civile e delle altre classi dirigenti del Paese, né della Chiesa. Sintomatico il fatto che venerdì sera, mentre mi trovavo ospite in una trasmissione di Telechiara, il conduttore, nel pormi una domanda sul ‘fatto più importante accaduto questa settimana’, si è riferito al declassamento della nostra economia da parte dell’agenzia di rating Standard & Poor’s, mentre io mi aspettavo che richiamasse il diniego della Camera all’arresto di un deputato imputato di fatti gravissimi non solo sotto il profilo penale, ma soprattutto dell’etica pubblica. Se ne deduce che la stessa opinione pubblica è arrivata ad un livello di assuefazione preoccupante. E conferma, come scriveva due settimane fa Ernesto Galli della Loggia sul Corriere, che il problema dell’Italia non è solo la sua classe politica, ma anche la sua società civile, “un elettorato ormai drogato, abituato a trarre la vita, o a sperare il proprio avvenire, dal piccolo o grande privilegio, dall’eccezione, dalla propria singola, particolare condizione di favore”. Sembra di risentire il Leopardi che, nel Discorso sopra lo stato presente dei costumi degl’Italiani, scriveva: “Gli italiani hanno piuttosto usanze e abitudini che costumi (…) perché lo spirito pubblico in Italia è tale che (…) lascia a ciascuno quasi intera libertà di condursi come gli aggrada, senza che il pubblico se ne impacci mai in modo da dar molta briga o da far molto considerare (la sua) approvazione o disapprovazione”. A Milanese (come a Berlusconi o Tremonti…) si attaglia benissimo il consiglio di F. Guicciardini: “Nega pure sempre quello che tu non vuoi che si sappia, o afferma quello che tu vuoi che si creda, perché, ancora che in contrario siano molti riscontri e quasi certezza, lo affermare o negare gagliardamente mette spesso a partito el cervello di chi ti ode”. Ti viene l’ansia oggi a rileggere i suoi Ricordi, in cui appare codificata ed innalzata a regola di vita la corruttela italiana: un senso di mancanza di prospettive, di ristrettezza della visuale, di una politica – come della vita dell’uomo comune – votata alla sopravvivenza del giorno per giorno, attenta solo a profittare dei vantaggi a breve, senza considerare gli effetti negativi a lungo termine. Sembrerebbe che un prontuario di regole immorali faccia parte del nostro Dna fin dagli albori della modernità al punto che Francesco De Sanctis in una celebre pagina della sua Storia della Letteratura italiana, dedicata al raffronto fra Machiavelli e Guicciardini, così commenta: “Essendo il mondo fatto così, hai a pigliare il mondo com’è, e condurti di guisa che non te ne venga danno, anzi la maggiore comodità possibile. Così fanno gli uomini “savi”.
Ecco perché è urgente
rimettere la questione morale al centro, non solo dell’agenda politica, ma di tutta la società italiana, partendo da ciascuno di noi, non da moralisti, né tanto meno accampando diversità morali, anzi… La sfida è per gli italiani quella di diventare moralmente adulti, per esempio riconoscendo che il valore della convivenza civile è superiore al valore del proprio particolare tornaconto. E’ il tema questo di un bel libro di Roberta De Monticelli,
La questione morale, che ho letto questa estate e che ha ispirato questa mia breve riflessione sul caso Milanese. Vi lascio come assaggio
un pezzo della Premessa (clicca qui), che tratteggia con efficacia e incisività il nostro stato attuale. Credo che la verità oggetto di questa analisi sia una zavorra molto più grave per il nostro Paese che non il declassamento di Standard & Poor’s e che, per questo, anche l’impervio sentiero per uscire dalla crisi economico-finanziaria richieda il coraggio di affrontare innanzitutto proprio la questione morale, intesa come la necessità di una rinnovata etica pubblica, indispensabile per preservare la libertà e la democrazia.