L'errore politico dell'astensione sull'abolizione delle province rafforza i riformisti del Pd

09 luglio 2011

L'Aula della Camera, nella seduta di martedì 5 luglio, ha bocciato il primo articolo della proposta di legge costituzionale presentata dall'Idv per la soppressione delle Province, affossando di fatto l'intero provvedimento. I voti contrari della maggioranza sono stati 225, quelli a favore 83 (Idv, Udc e Fli), gli astenuti (Pd) sono stati 240. Personalmente, pur essendo favorevole alla proposta di soppressione delle province, per evitare divisioni nel partito non ho partecipato al voto sull’art. 1 e mi sono astenuta sul secondo voto, relativo ad un emendamento della maggioranza soppressivo dell’art. 2 e seguenti della proposta di legge.

L’astensione del gruppo del Partito Democratico, decisa dopo un ampio dibattito interno nell'assemblea del gruppo, ha scatenato molte reazioni contrarie tra gli elettori anche del nostro territorio: in molti mi hanno scritto, telefonato, contattata personalmente, per esprimermi la propria delusione, indignazione, protesta... Come mi aspettavo ed avevo anche dichiarato prima del voto, è stato un errore non aver saputo valutare, da parte della dirigenza del gruppo e del partito, quale sarebbe stata la reazione popolare alla mancanza di un segnale di volontà di riforma di un apparato istituzionale pletorico e costoso, in un momento di crisi come questo, dopo il segnale dato dagli elettori con le ultime elezione amministrative e poi con i referendum, e mentre arriva un'ulteriore manovra correttiva di lacrime e sangue a danno delle fasce più deboli...

Ciò premesso, credo sia utile ricordare come si sono svolti i fatti.
Il disegno di legge costituzionale dell'Idv era già approdato all'esame dell'Aula e più volte rinviato, l'ultima il 15 giugno scorso: in quella occasione, come vi ho riferito nella newsletter del 19 giugno scorso, dopo aver sentito la dichiarazione di voto dell'on. Gianclaudio Bressa, che motivava il voto favorevole del Pd all'emendamento della Lega che affossava il disegno di legge dell'Idv, ci fu una levata di scudi di molti di noi deputati insieme a Fioroni, Parisi, Veltroni, Gentiloni. Di fronte al rischio di una spaccatura, con una parte di deputati che potevano votare con Idv, visto che non era neppure stato convocato il gruppo per condividere un passaggio così delicato, Franceschini chiese la sospensione e il rinvio della discussione del ddl, per un approfondimento atto ad evitare anche l'affossamento annunciato del provvedimento. Sospensione e rinvio ottenuti, cui ha fatto seguito una discussione nel gruppo dei deputati del Pd, arrivata comunque ben dopo che i nostri deputati in Commissione Prima Affari Istituzionali avevano già deciso per il rigetto della proposta di soppressione delle province, peraltro in coerenza con la linea del partito, che è quella di una loro “timida” razionalizzazione all'interno di un riordino complessivo del sistema delle autonomie locali, come da proposta costituzionale n. 4439 presentata dal Pd il 21 giugno 2011 (“Modifica all'articolo 133 della Costituzione, in materia di mutamento delle circoscrizioni provinciali e di soppressione delle province, nonché norme per la costituzione delle città metropolitane e il riassetto delle province”). Nell'incontro del gruppo, la dirigenza ha quindi ribadito la contrarietà al disegno di legge dell'Idv, ma, pressata dalle critiche e dal grande disagio espresso da molti di noi, ha almeno deciso di ritirare l'emendamento, soppressivo dell'art. 1, presentato dai nostri deputati della Prima Commissione e di astenersi sull'analogo emendamento della Lega. Non oso pensare cosa sarebbe accaduto se, senza le nostre critiche, fossimo addirittura arrivati a votare a favore di un nostro emendamento contrario alla soppressione!

Le motivazioni, anche plausibili - ove ci trovassimo in una diversa situazione politico-economica - date dai nostri dirigenti alla scelta di astenersi, non hanno in ogni caso sortito l'effetto di rimediare presso l'elettorato all’errore politico compiuto. In un momento come questo dovevamo lasciare al CentroDestra la responsabilità di una scelta così conservatrice ed impopolare, come di fatto stanno dimostrando i tanti commenti negativi che giungono anche dai nostri elettori. Tanto più che si trattava di un disegno di legge costituzionale e nessun vuoto normativo e di competenze si sarebbe verificato anche con una eventuale vittoria dei sì alla cancellazione delle province. E non saremo stati accomunati a coloro che vogliano a tutti i costi conservare l’esistente. Perché come ha scritto su La Repubblica del 7 luglio, Massimo Giannini, se non abbiamo “il coraggio e la forza di dimostrare agli italiani che non tutti sono uguali, la partita dell’alternativa non comincia nemmeno”.

Non tutto il male, tuttavia, viene per nuocere!
Le reazioni che sono seguite al voto di astensione sono arrivate forti e chiare ai piani alti del Pd e questo dà forza ai deputati che, come me, pur essendo in minoranza nel partito, vogliono continuare la battaglia e tenere aperta la discussione su questo tema, invitando il Pd ad avere più coraggio ed abbandonare i calcoli di interesse elettoralistico (sono 40 i presidenti di Provincia del Pd, contro i 37 del Pdl e i 13 della Lega).

La questione è che ormai è urgente affrontare un dibattito parlamentare serio per ridisegnare in modo radicale l’ordinamento istituzionale dello Stato.

I tagli (lineari) alla spesa pubblica, per perseguire il contenimento del deficit e la riduzione del debito pubblico, sono infatti arrivati ai limiti della sostenibilità, come ha affermato da ultimo la Corte dei Conti. Lo conferma il fatto che, nonostante le ripetute manovre di lacrime e sangue, il debito rimane enorme, mentre è troppo bassa la crescita e si allarga il nostro gap infrastrutturale e competitivo rispetto agli altri Paesi europei (vedi l'articolo di Fabrizio Galimberti pubblicato su Il Sole 24 Ore del 29/6/11). Il fatto  è che la nostra spesa primaria è più bassa di quella di tutti gli altri Stati: spendiamo troppo per interessi sul debito e per le pensioni, e troppo poco per infrastrutture, sussidi alla disoccupazione, formazione, misure di sostegno alle famiglie, all'occupazione femminile e giovanile, protezione dell'ambiente e del patrimonio artistico, ecc. Per cui non basta tagliare gli sprechi per recuperare le risorse necessarie a sostenere la crescita ed insieme ridurre il debito e garantire condizioni di equità sociale. Non potendo tagliare oltre gli stanziamenti per i servizi essenziali ai cittadini, pena davvero realizzare una vera e propria macelleria sociale, occorre avere il coraggio di cancellare la spesa storicamente sedimentatasi e 'ristrutturare' in modo radicale gli attuali livelli di governo, statali e territoriali, oltre alla cancellazione della pletora di enti inutili che ancora perdurano.  

Ho già detto in altre occasioni che si deve prendere esempio dalla Germania, che nonostante una crescita di oltre il 3% del pil, ha pressoché dimezzato i Lander (le sue regioni), per andare anche da noi verso un sistema di accorpamento delle Regioni, oltre ad un corposo accorpamento delle Province e dei Comuni (più che dimezzandoli), così pure per le Prefetture, gli altri uffici periferici dello Stato e  le Camere di Commercio. Su questo tema sto lavorando con degli amici, per avanzare alcune proposte già nella prossima discussione della manovra correttiva.

Il nuovo assetto istituzionale va, inoltre, accompagnato da una credibile riforma della politica e dei suoi costi, ad esempio con l’abolizione del vitalizio sostituendolo con il versamento di contributi previdenziali ai fini pensionistici adeguati alla funzione, la riduzione del numero di parlamentari, l’adeguamento degli emolumenti per le funzioni pubbliche alla media europea, la limitazione della durata a due mandati consecutivi per chi svolge funzioni di governo a qualsiasi livello, l’istituzione dell’anagrafe degli eletti (alla quale personalmente ho già aderito) che assicuri la massima trasparenza sul patrimonio personale e sulle spese elettorali.

Si tratta di proposte su cui confrontarsi apertamente nel partito, sapendo però che gli elettori non sono più disposti ad accettare scelte che non sono coerenti con i principi riformatori costitutivi del nostro partito.

 

 

Ps: diversi amici mi hanno chiesto gli indirizzi email del segretario Bersani e del capogruppo Franceschini, per poter esprimere loro il proprio disappunto. Vi unisco pertanto i loro indirizzi istituzionali:

bersani_p@camera.it

franceschini_d@camera.it


pubblicata il 09 luglio 2011

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