Rubinato: «Referendum, dico sě e se il Pd non ci sta qui non vincerŕ mai» - Corriere del Veneto

18 marzo 2016

Pagina 2, Primopiano

VENEZIA «È forse troppo dire che siamo allo sbando?». La domanda, volutamente retorica, è di Michele Mognato. Del resto è lo stesso deputato a darsi la risposta: «Il Pd veneto? Un non partito». Il parlamentare veneziano dà voce al malumore dem sulla «incapacità di costruire un pensiero politico sui temi legati all’autonomia del Veneto», mettendo in fila spinte e controspinte interne, dallo «stop al Senato relativo al Comune di Sappada», alla «deputata del Pd che aveva presentato emendamenti a favore dello statuto speciale».

Quella collega è la trevigiana Simonetta Rubinato, non a caso spesso considerata la più leghista dei democratici, al punto da far approvare la norma su cui ora la Regione farà leva per ottenere dallo Stato una risposta entro due mesi alla sua richiesta di negoziato.

Onorevole Rubinato, dunque alla fine Luca Zaia dovrà ringraziarla?

«Non pretendo nulla. Dico però che Zaia dovrebbe riconoscere che, se adesso può annunciare ai veneti l’avvio dell’iter sull’autonomia, è solo grazie al centrosinistra: sotto il governo Amato nel 2001 è stata varata la riforma del titolo V della Costituzione che ha introdotto la possibilità della trattativa e durante il governo Letta nel 2013 ho presentato l’emendamento 571 sui sessanta giorni che favorisce appunto l’attuazione del terzo comma dell’articolo 116. Proprio quel comma che, se fosse stato per il centrodestra, sarebbe stato cancellato nel 2005 dalla cosiddetta devolution, poi abortita dal referendum».

Accoglie comunque l’invito del governatore a fare fronte comune?

«È evidente che da parte mia ci sarà la massima collaborazione, per sollecitare una rapida risposta del governo. Casomai sono piuttosto io ad augurarmi che quello di Zaia e della Lega sarà un atteggiamento propositivo e costruttivo. Basta con il celodurismo mediatico di dire che la palla è nelle mani di un governo brutto e cattivo: i sessanta giorni non scendono da Marte, la giunta e il consiglio regionale hanno dormito in tutti questi anni. Bene se finalmente possiamo voltare pagina, ma avrei preferito farlo prima».

A questo punto condivide ancora la necessità del referendum sull’autonomia?

«Assolutamente sì, perché la consultazione è stata ammessa dalla Corte Costituzionale e perché sono una democratica che crede nel diritto di un popolo di esprimersi. Oltretutto la forza della volontà popolare può dare la sveglia a Zaia: la propaganda sull’indipendenza, che il governatore ha fatto fino all’altro giorno, non paga più».

Sa che non tutti nel Pd la pensano così?

«Certo, infatti è per questo che continuiamo a perdere le elezioni tanto malamente: perché non siamo capaci di interpretare il disagio e il malessere dei veneti. Abbiamo bisogno di essere un Pd veneto, non di ridurci a periferia del partito nazionale. E ai miei colleghi perplessi ricordo che la mia battaglia per l’autonomia è combattuta dentro alla cornice istituzionale e con gli strumenti voluti dal centrosinistra».

È un messaggio che vale pure per Debora Serracchiani, che si dice pronta ad accogliere l’intero Bellunese?

«Bisognerebbe capire se parla da presidente del Friuli Venezia Giulia o da vicesegretaria nazionale del Pd, che come tale dovrebbe avere più rispetto per il Pd veneto, oltre che per i veneti. Il Veneto, secondo motore economico del Paese, non ha bisogno di elemosina, ma della giusta autonomia finanziaria per rispondere alle esigenze del territorio, incluso il Bellunese».

Ma adesso che la riforma Boschi restringe le materie su cui le Regioni possono chiedere più autonomia, non si rischia di tornare punto e a capo?

«Nulla vieta in futuro di modificare le regole che verranno. Ma intanto partiamo con le regole che ci sono già».

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pubblicata il 18 marzo 2016

 
 
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