"È compito
della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che,
limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva
partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e
sociale del Paese". Lo afferma
solennemente la Costituzione, all'articolo
3, secondo comma, come abbiamo sottolineato la scorsa settimana, prendendo
spunto dal caso della figlia del Ministro Fornero. Su questo articolo Piero Calamandrei tenne una lezione
memorabile agli studenti di Milano il 26 gennaio 1955, definendolo "il più importante di tutta la Costituzione,
il più impegnativo". Egli spiegava che "una
democrazia in cui non ci sia questa uguaglianza di fatto, in cui ci sia
soltanto una uguaglianza di diritto è una democrazia puramente formale, non è
una democrazia in cui tutti i cittadini veramente siano messi in grado di
concorrere alla vita della Società, di portare il loro miglior contributo, in cui
tutte le forze spirituali di tutti i cittadini siano messe a contribuire a
questo cammino, a questo progresso continuo di tutta la Società". Per
questo affermava che "la nostra
Costituzione è in parte una realtà, ma soltanto in parte è una realtà. In parte
è ancora un programma, un ideale, una speranza, un impegno, un lavoro da
compiere". Anzi, l'articolo 3 della nostra Costituzione "è una polemica contro il presente, (...)
riconosce, con questo, che questi ostacoli oggi ci sono, di fatto e che bisogna
rimuoverli". La nostra "è una
Costituzione rinnovatrice, progressiva, che mira alla trasformazione di questa
Società, in cui può accadere che, anche quando ci sono le libertà giuridiche e
politiche, siano rese inutili, dalle disuguaglianze economiche e dalla impossibilità,
per molti cittadini, di essere persone e di accorgersi che dentro di loro c'è
una fiamma spirituale che, se fosse sviluppata in un regime di perequazione
economica, potrebbe anch'essa contribuire al progresso della Società. Quindi
polemica contro il presente, in cui viviamo e impegno di fare quanto è in noi
per trasformare questa situazione presente".
Per quanto riguarda gli ostacoli di ordine economico, da un anno a questa parte nel mio servizio di sindaco sto toccando con mano la situazione drammatica in cui si stanno precipitando un numero crescente di famiglie e di persone, per essere rimaste senza lavoro o senza casa, soprattutto se prive di una rete familiare più larga che le possa sostenere, perché chi è davvero povero in questo Paese non è previsto da parte dello Stato uno strumento per garantire il c.d. minimo vitale. Anzi, appena sopra i 7.000 euro si devono comunque pagare le imposte, a prescindere dal numero dei componenti del nucleo familiare. Tamponano come possono i Comuni, le associazioni caritatevoli, il volontariato in generale... In molti casi si tratta di nuclei familiari con bambini, che pure sono così preziosi in una società che sta invecchiando rapidamente come quella italiana e sui quali dovremmo dunque trovare il modo di investire.
Da qualche tempo si sta cercando di trovare su questo tema una soluzione in via sperimentale. Si tratta di un sostegno al reddito per le fasce più povere, che con diverse caratteristiche viene identificato nel reddito di cittadinanza, in quello d'inserimento o di base. Provvedimenti di questo tipo in Europa ci sono già, e in alcuni casi, come in Francia o in Germania, sono strumenti consolidati nella lotta alla povertà, mentre l'Italia dagli anni ‘90 ad oggi non riesce ancora a saltare il gradino della sperimentazione, facendone insieme alla Grecia uno dei pochi membri dell'Europa ancora senza un intervento certo di questo genere.