Audizione del ministro Tremonti. Ultimo dossier sui risultati economico-finanziari 2010

30 marzo 2011

Con la riforma del Patto di Stabilità l’Italia si è impegnata al rigore del bilancio come i partner europei. Nell’audizione il ministro Tremonti ha fatto il punto sulle novità dei nuovi accordi in sede UE, affermando che si tratta di “una colossale devoluzione di poteri alla sede comune europea”, ispirata ad una forte responsabilità e solidarietà comuni, che costituisce “il principio di un processo di ulteriore e progressiva unificazione”.

Sul tema del risanamento dei conti, Tremonti ha affermato che “è importante anche per l’immagine del nostro Paese ‘costituzionalizzare’ gli impegni sull’indebitamento”, visto che la Germania ha già una legge costituzionale sul deficit e che la Francia ha annunciato che la farà, per recepire i criteri del nuovo trattato. “Noi – ha aggiunto - abbiamo l’articolo 81, che però non ha impedito di accumulare il terzo debito pubblico del mondo”. Quella norma della Costituzione vieta nuove spese pubbliche che non abbiano copertura, ma “non ha funzionato”. I padri fondatori, ha detto il ministro, l’avevano introdotta proprio perché i governi si impegnassero al rigore del bilancio, ma non è servita. Ora, insiste il ministro, “non basta interpretare il vecchio articolo 81 in modo più rigoroso. Ci vuole una norma costituzionale nuova”.

Rispondendo alle domande, Tremonti ha rivendicato il ruolo giocato dall’Italia in questi  mesi di dibattito europeo sulla riscrittura delle regole post-crisi 2008: “E’ vero che ora c’è più automatismo sul fronte della riduzione dei debiti eccessivi, cosa che riguarda l’Italia più di altri paesi. Ma siamo riusciti ad aggiungere fattori rilevanti come l’ambiente nel quale questi debiti si collocano”, riferendosi al livello del debito privato, per esempio, in Italia più basso che in molti altri paesi europei. “Il tutto non perdendo di vista l’obiettivo attuale che è quello di arrivare a deficit-zero, cioè al pareggio di bilancio, per poi, dal 2015, iniziare il processo di riduzione del debito”.

Il responsabile dell’Economia attribuisce al federalismo fiscale un ruolo decisivo in questo processo di contenimento della spesa pubblica: “Il federalismo è una specie di diesel. Chi crede che avrà effetti istantanei non ha chiaro il contenuto dei decreti. L’attuazione avrà la forza lenta e tranquilla di un motore diesel, ma alla fine si vedrà che il diesel del federalismo fiscale funziona”.

Poi ha difeso i risultati ottenuti a Bruxelles: “Nel fondo salva-Stati c’è dentro l’idea degli Eurobond, la cui dimensione è politica, non finanziaria. Non servono a fare più debito ma a garantire un futuro all’Europa”.
 
Quali misure bisogna adottare per rendere l’Italia più competitiva e farla crescere di più? A questa domanda Tremonti ha risposto snocciolando i consuntivi provvisori del 2010 che danno per l’Inghilterra una crescita dell’1,3% per la Francia il Pil in aumento dell’1,5%. “Noi siamo cresciuti  dell’1,2-1,3% il che non è tanto diverso da quella degli altri paesi”, ha affermato. Nel conto ha omesso tuttavia la Germania, la locomotiva d’Europa, che è uscita dalla crisi volando. “E’ comunque vero – ha ammesso - che dobbiamo crescere di più, ma dobbiamo crescere nel Sud, perché il Nord in termini di patrimonio e di Pil è già la regione più ricca d’Europa, quindi del mondo”.

Nell’ascoltare il Ministro Tremonti, in particolare nella parte del suo intervento in cui  lamentava l’insufficienza dell’art. 81 della Costituzione al fine del controllo della spesa pubblica, mi è tornata in mente la folgorante battuta rivoltagli dal compianto Ministro Padoa Schioppa il 14 giugno del 2006, nel corso di un’audizione nella stessa Sala del Mappamondo, dopo un intervento-fiume di Tremonti, che voleva fare il “maestrino”con il neo ministro dimenticandosi di aver governato lui negli anni precedenti. Padoa Schioppa nel replicargli si limitò a dirgli: “Quella del ministro Tremonti è stata una vera e propria relazione, che penso vada studiata attentamente leggendo il resoconto della seduta, cosa che certamente farò con la cura che la profondità delle sue osservazioni merita. Non gli farò quindi la scortesia di rispondere con qualche battuta. Certamente il tempo è denaro e com’è difficile non sforare nella spesa pubblica, è altrettanto difficile non farlo nei tempi assegnati per gli interventi!

Battuta quanto mai azzeccata, visto che anche domenica scorsa in televisione Tremonti ci ha ricordato che l’“unica via” in Italia per migliorare lo stato dei conti pubblici è “ridurre la spesa”. Parole sacrosante, quelle del nostro ministro dell’Economia: nei prossimi anni, viste le condizioni economiche generali, non ci sarà da investire, ma da tagliare riqualificando la spesa. Il punto è che finora questo non è stato fatto e lui è stato ministro del Tesoro per quasi sette degli ultimi dieci anni! Il problema è tradurre quelle parole in atti concreti. E riuscire a dare un livello accettabile al volume delle uscite delle amministrazioni pubbliche.

Una recente pubblicazione della Ragioneria dello Stato ripercorre la percentuale di spesa, in rapporto al Prodotto interno lordo, dal 1870 al 2009. E mostra chiaramente come il sentiero virtuoso sia stato abbandonato dal 1980: all’epoca la spesa pubblica viaggiava ancora attorno al 40% del Pil e, soprattutto, si collocava circa 7 punti sotto la media europea. Anche negli ultimi anni, tuttavia, pur non avendo fatto esplodere il deficit annuo, non si può dire che sia stato posto un vero freno alle uscite. Nel 2009 la spesa italiana è arrivata a sfiorare il52% (51,9) del Pil. E’ vero che si è soltanto un punto sopra la media europea del 50,9; in ogni caso è una crescita netta rispetto al 46,2% del Pil che si registrava nel 2000.

Non solo: l’azione di contenimento ha riguardato in particolare la spesa per gli investimenti, il che pregiudica la nostra crescita. Se si valutano (dati Istat) le sole uscite correnti, queste sono aumentate in modo costante: dai 655,8 miliardi del 2006 si è passati ai 685 dell’anno seguente (+ 4,5%) e ai 716,2 del 2008 (+4,6%), con una leggera frenata del ritmo di crescita (“solo” + 2,3%) unicamente nel 2009, quando comunque si sono raggiunti i 733 miliardi. E nei primi 3  trimestri del 2010 Tremonti ha ulteriormente contenuto a + 1,2% la tendenza. Va però tenuto conto che le uscite correnti comprendono pure la spesa per interessi passivi che, stante la caduta dei tassi, è crollata di quasi 10 miliardi netti nel 2009, attestandosi sugli stessi livelli l’anno scorso. Dunque in due anni (2009  e 2010) abbiamo avuto uno sconto di ben 20 miliardi di interessi sul debito, ma il risanamento non ne ha beneficiato a causa del concomitante aumento della spesa corrente,  soprattutto a livello centrale. Proprio i “consumi intermedi” (la definizione contabile relativa agli acquisti) sono quelli che hanno continuato a “esplodere”: nel 2007 sono cresciuti del 4,3%, l’anno dopo del 6,4% e, nel 2009, di ben il 7,5%, arrivando a toccare i 92,7 miliardi. E’ la prova che i tagli lineari del 2% non funzionano alla resa dei conti. Ridurre la spesa senza fare scelte non ha senso. Per questo l’ex ministro Padoa Schioppa aveva avviato una spending review, tramite la poi  sciolta  Commissione tecnica per la finanza pubblica. Peccato che quel lavoro sia stato bloccato.

Anche il recente rapporto 2010 su “La finanza pubblica italiana” di M.C.Guerra e A. Zanardi ha fatto il punto sugli ultimi dieci anni di finanza pubblica italiana ed ha definito gli anni dal 2000 al 2010 “il decennio perduto”: la politica di bilancio ed economico-finanziaria di questi dieci anni  è stata una straordinaria occasione perduta per favorire la stabilità dei conti pubblici e la crescita del Paese, il che ci ha fatto trovare più deboli degli altri di fronte alla crisi globale scoppiata alla fine del 2008, impossibilitati a fare manovre espansive in funzione anticiclica – come gli altri Paesi europei -  per l’enorme debito pubblico accumulato. E questo nonostante gli straordinari risultati sul fronte del risanamento ottenuti con le due Finanziarie approvate nel dicembre 2006 e 2007 dal Governo Prodi.

Sappiamo chi ha governato nel decennio. E possiamo misurare la bontà o meno dell’operato dei vari Governi esaminando gli indicatori macroeconomici riepilogati nel dossier elaborato periodicamente dal Servizio Studio del Dipartimento Bilancio della Camera sugli indicatori economici e finanziari del Paese. Vi allego la relativa pubblicazione del mese di marzo scorso, contenente l’aggiornamento per il decennio 2001-1010, come già avevo fatto l’anno scorso per il decennio 2000-2009. Vi suggerisco di esaminare in particolare la Sezione II, da pag 44 (relativa agli Andamenti di Finanza pubblica) e in particolare a pag. 47, nel Conto economico delle Amministrazioni Pubbliche, i valori assoluti anno dopo anno del Saldo Primario della P.A. (principale indicatore per valutare la sostenibilità della finanza pubblica), e a pag. 61 i dati anno per anno sul  debito pubblico delle P.A. Capirete perché la battuta rivolta da Padoa Schioppa nel giugno del 2006 a Tremonti era fondata! 
 
 
mimetype SCARICA IL DOSSIER "INDICATORI ECONOMICI E FINANZIARI: I RISULTATI DEL 2010"  (398 KB)

pubblicata il 30 marzo 2011

ritorna
 
  Invia ad un amico