Il rilancio del Pd in Veneto deve partire da un congresso vero

03 giugno 2015

conferenza_stampa_rubinatoLunedì, dopo aver preso atto del risultato delle elezioni nella nostra Regione, ho espresso il mio primo commento ad un post in Facebook, ripreso poi dai media: "Una grande delusione, da togliere il fiato, per un risultato drammaticamente al di sotto delle aspettative proclamate da dirigenti regionali e nazionali. Ha vinto una rassegnata conservazione dell'esistente perché come Pd non siamo riusciti a formulare e trasmettere una credibile proposta per migliorare la vita del popolo veneto. In attesa di analizzare con pacatezza i dati definitivi, si sta profilando il peggior risultato dal 1995 ad oggi. Una riflessione dunque si impone: mai come questa volta c'erano le condizioni politiche favorevoli, con un centrodestra ed una Lega frantumati e nonostante questo abbiamo perso anche rispetto al 2010. Se a ciò aggiungiamo il dato dell'astensionismo, il bilancio è che non siamo mai stati tanto minoritari nell'elettorato veneto. Perciò per le prossime elezioni o cambiamo i veneti o cambiamo noi. E siccome è impossibile la prima, mi auguro che non faremo come i perdenti che trovano sempre delle scuse, ma come i vincenti che cercano un'altra strada."

Ho chiesto quindi a Paolo Pasi, analista politico, di esaminare i risultati e formularne una prima lettura per poterne trarre alcune prime indicazioni politiche per la conferenza stampa che insieme ad alcuni amministratori ed amici abbiamo convocato questa mattina. Sia per rispondere alle sollecitazioni dei media, sia soprattutto a quelle di tanti iscritti ed elettori che ci hanno chiesto di manifestare il loro disagio e prendere l'iniziativa.

Ecco le slides preparate da Paolo Pasi (clicca qui), che evidenziano: il drammatico crollo della partecipazione alle elezioni regionali, la differenza quasi costante tra i voti ai candidati presidente e i voti di lista, il confronto tra le percentuali dei candidati presidenti del centrodestra e centrosinistra (il divario minore si è registrato con Carraro nel 2005), la differenza tra i voti al presidente Zaia e alla coalizione di centrodestra e quella tra i voti alla nostra candidata e alla coalizione del centrosinistra, le percentuali di voto al Pd dal 2008. Infine il dato impressionante dei voti assoluti presi dal Pd dal 2008 al 2015: abbiamo assistito ad un crollo del consenso verso il partito, passato dai 900 mila voti delle Europee 2014 ai 300 mila voti delle regionali di domenica scorsa, senza che i dati evidenzino alcuna fuga a sinistra (non è emerso infatti alcun soggetto politico o leadership capace di raccogliere un significativo consenso in quest'area). I dati confermano la tendenza alla mobilità dell'elettore: chi ancora sceglie di votare è disponibile a cambiare voto, in base all'offerta politica che lo convince di più, perché ne rappresenta meglio i bisogni e gli interessi. Le Europee confermano che il Pd ha una forte carica potenziale per attirare questi elettori mobili, ma per farlo deve dimostrare anche a livello regionale forte capacità di innovazione interpretata da persone credibili e coerenti sui contenuti che rispondono alla domanda del territorio.

Le conseguenze da trarne sono evidenti. Il Partito Democratico del Veneto, la sua classe dirigente è stata percepita come conservatrice di quello status quo che non ci ha mai visto credibile alternativa al centrodestra. Occorre girare pagina, ma non può farlo la stessa dirigenza che ha messo le basi per il peggior risultato dal 1995 ad oggi, con un progetto politico, un candidato e una campagna elettorale eterodiretta completamente sbagliata. Le cause di questa sconfitta sono più d'una: a partire da un'opposizione in consiglio regionale nei cinque anni scorsi che è stata percepita come inefficace e consociativa, dall'ennesimo congresso "finto", cioè con un unico candidato segretario, in cui le varie anime e correnti in nome dell'unità hanno mantenuto lo status quo anziché cogliere la sfida del cambiamento che può passare solo attraverso un confronto vero. Fino ad arrivare alla scelta di fare delle primarie in stile "bulgaro" con una campagna ristretta in appena 13 giorni, dando l'impressione agli iscritti ed agli elettori che l'apparato avesse già deciso chi era il candidato, disincentivando la partecipazione. Perché gli elettori che al voto ci vanno (pagando per di più anche due euro) solo se pensano che il loro voto conti. A questo è seguita poi una campagna sbagliata, fatta più contro il Presidente uscente Zaia che sui contenuti e su nostre proposte credibili. Una campagna orchestrata da chi i Veneti forse non li conosce e che ha fatto passare l'idea che la nostra candidata non "guidava" la macchina. L'elettore di oggi è disposto a cambiare, ma deve fidarsi innanzi tutto della persona a cui affidare la guida della macchina. Zaia è stato in questo senso molto più credibile. Risultato? Si è perso, malissimo. Si è bruciata una risorsa come Alessandra Moretti, che solo un anno fa aveva raccolto un forte consenso e poteva essere un investimento per il Veneto in Europa, mentre ci troviamo, come veneti, con un parlamentare europeo in meno, visto che il suo posto è stato preso da un rappresentante dell'Emilia Romagna.

Difficile fare peggio, quindi. Pensare che iscritti, circoli, candidati tutti si sono tutti spesi tantissimo in questa campagna e meritavano un risultato migliore.

Una classe dirigente perdente cerca scuse, una vincente cerca nuove strade. Noi non ci rassegniamo: vogliamo dare un alternativa al Veneto ed agli elettori, a quelli che ci hanno votato e a quelli che non lo hanno fatto ma sono interessati ad una offerta politica nuova capace di leggere il cambiamento del mondo di oggi e di trovare risposte alle speranze e alle paure dei nostri concittadini. Zaia non è invincibile, ma per batterlo bisogna stare sempre in mezzo alla gente, non solo in campagna elettorale, bisogna dimostrare di avere sindaci capaci di amministrare bene le proprie città, bisogna rinunciare a fare il partito che si accontenta di vivere di rendite di posizione, bisogna valorizzare i candidati che più sono capaci di allargare il consenso, bisogna offrire contenuti e progetti migliori per la qualità della vita delle persone e la competitività delle imprese.

In una situazione come quella che si è verificata le dimissioni della segreteria regionale non si chiedono, si danno, perché sono a un atto politico dovuto per dare il messaggio agli elettori che si è capito di aver fallito e che il partito vuole cambiare verso. Serve una nuovo inizio, una forte discontinuità nel progetto politico, nell'organizzazione del partito, nella sua apertura alla società veneta, alle competenze che abitano il territorio. Per rendere il partito regionale del Veneto competitivo e, come vuole la Costituzione, strumento della partecipazione civica, anche in vista del 2020, serve un congresso vero e aperto, da cui emerga una leadership riconoscibile dal territorio, capace di essere collettiva e insieme autorevole e autonoma rispetto al partito nazionale.

Questa è la strada nuova che proponiamo. Se così non si farà e si continuerà con le logiche conservatrici e consociative, noi comunque ci impegneremo a continuare il lavoro avviato con i Barcamp 'oltre' il recinto sempre più ristretto del Pd regionale, strutturando una rete civica per allargare i confini di una proposta alternativa al centrodestra per non trovarci tra 5 anni con le armi spuntate di fronte ad uno Zaia ancora competitivo e ad una concorrenza nell'opposizione che si è fatta più ampia con il progetto di Tosi e quello dei 5 Stelle.

Il nostro cantiere è aperto a tutti coloro che vogliono partecipare. Ora tutti a sostenere i nostri candidati ai ballottaggi e poi si riparte.

Un caro saluto.


Simonetta Rubinato

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pubblicata il 03 giugno 2015

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