La partita della Grecia non è uno scontro tra popolo greco e oligarchia UE, ma tra popoli debitori e popoli creditori

08 luglio 2015

È evidente a tutti che la partita aperta dalla vittoria del "no" nel referendum greco non è solo economico-finanziaria, ma di strategia politica ed anche geopolitica. Salvare la Grecia non è un 'diritto acquisito' che Atene può legittimamente pretendere non si sa su quali basi (visto che molti Paesi UE, come ad es. il Portogallo, hanno un reddito pro capite più basso dei greci stessi persino post-austerità), ma una questione politica in nome del comune progetto europeo. Purtroppo l'azzardo di Tsipras potrebbe paradossalmente avvantaggiare nella UE la posizione dei Falchi del Nord, uniti in questo ad alcuni Paesi del Sud, come Spagna e Portogallo, e dell'Est, avvicinando la prospettiva del default della Grecia e di una sua uscita dall'euro (la c.d. Grexit) con gravi ripercussioni non solo sugli Stati europei più esposti come il nostro, ma anche sul senso dell'Europa stessa e sui fragili equilibri dell'area del Mediterraneo.

Ne deriva una lezione: la democrazia non è un tavolo imbandito gratis e una volta per tutte. La libertà e i diritti che ne sono espressione vanno coniugati con la responsabilità. Di tutti, dai politici ai cittadini. Perché in democrazia il popolo si sceglie i suoi governanti, delle cui decisioni beneficerà se positive o sopporterà se negative. La classe politica che ci ha portato all'enorme debito pubblico italiano è stata scelta democraticamente da coloro che ne sono stati (e sono ancora) beneficiari a scapito di altri, in particolare delle generazioni più giovani e future. Così anche in Grecia il popolo si è scelto i governi che lo hanno condotto nel baratro. Il popolo greco potrà contare ancora sugli aiuti umanitari europei, ma solidarietà non significa che i cittadini degli altri Paesi europei vogliano sobbarcarsi una quota del debito monstre creato dalla classe politica greca che essi non si sono eletti. Peraltro il debito pubblico greco è stato tagliato negli anni scorsi di oltre 100 miliardi, a spese di altri popoli. E fino ad agosto 2014 sono stati erogati alla Grecia 154 miliardi di euro, quasi tutti a carico degli altri Stati (dunque popoli), di cui quasi 36 miliardi da parte del nostro Paese, a condizioni quanto a interessi e scadenze che noi italiani ci sogniamo. Chiedendo in cambio alla Grecia la messa in campo di riforme credibili ed eliminazione di alcuni privilegi per rendere minimamente sostenibile la prospettiva di un riequilibrio finanziario nel lungo termine di un Paese che ha, caso unico al mondo, un debito pubblico estero (cioè con altri popoli, visto il salvataggio delle banche più esposte con la Grecia da parte dei rispettivi Stati europei) pari al 140,8% del Pil. Eppure nel 2014, pur dopo l'austerità, la spesa pubblica corrente della Grecia al netto degli interessi è tornata ai livelli del 2006, circa 6.651 euro per abitante, solo di poco inferiore a quella del Portogallo, che è di 6.769 euro per abitante e il cui governo si chiede giustamente perché dovrebbe continuare a chiedere sacrifici ai suoi cittadini. L'Europa, pur con tutti i suoi limiti e gravi deficit democratici, che vanno certo finalmente colmati, oggi ci ricorda questo elementare principio di responsabilità, senza il quale il principio di solidarietà si declina in assistenzialismo, di cui prima o poi qualcuno pagherà il conto.

Io sono sempre fiduciosa che da un male possa provvidenzialmente venire un bene e confido che da questa situazione, gestita responsabilmente e con veduta lungimirante da parte delle Istituzioni europee, possa venire una spinta ad una più forte integrazione politica. Ma sono convinta che si aiuta l'Unione europea ad andare oltre lo stallo politico attuale solo se tutti i 28 Paesi (i loro governi certo, ma anche i loro popoli, anch'essi espressione di democrazia come quello greco) vedranno nello stare insieme la possibilità concreta di un progresso comune. In caso contrario si accentueranno le divisioni tra chi si crede vittima del rigore e dell'austerità e chi - formica - si sente preso in giro e spremuto dalla cicala. Con la irreparabile conseguenza della disgregazione del progetto comune europeo che non può che basarsi, prima ancora che sulla comune moneta, sulla reciproca affidabilità e credibilità dei suoi partner. È proprio su questo che ora è atteso alla prova Tsipras: tocca a lui dimostrare che il suo governo si merita la fiducia dei rappresentanti degli altri popoli (fin qui non pervenuta) perché si possa fare quanto prima un passo in avanti nella giusta direzione.

Vi segnalo sul tema l’interessante commento dell’amico Francesco Morosini (vai alla pagina: http://ytali.com/2015/07/07/tsipras-e-la-pelle-dellorso/) ed un chiaro e sintetico report, redatto dall’Ufficio Rapporti con l’Unione europea della Camera dei Camera dei Deputati, che descrive la recente storia della crisi della finanza pubblica greca (clicca qui per scaricare il report).


pubblicata il 08 luglio 2015

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