Incontro alla Lovat con Giovanni Innamorati e Francesco Morosini su referendum costituzionale e legge elettorale

13 novembre 2016

Il ballottaggio non va toccato. E’ il caposaldo dell’Italicum, “è la carabina con due colpi, la doppietta a disposizione degli elettori per poter fare la scelta migliore”. Questo quanto emerso durante l’incontro del 12 novembre scorso alla libreria Lovat di Villorba (TV), dove ho invitato il giornalista parlamentare dell’Ansa Giovanni Innamorati (autore del libro “Il Parlamento, biografia non autorizzata”, sua la efficace definizione della 'doppietta') e il prof. Francesco Morosini, docente di Istituzioni di diritto pubblico a Ca’ Foscari, per parlare di referendum costituzionale e legge elettorale. 

Il primo ha raccontato, presentando il suo libro, la storia della c.d. seconda Repubblica, a partire dai primi anni '90, attraverso le leggi elettorali che si sono succedute, dal proporzionale al Mattarellum, dal Porcellum all'Italicum, ricordando il dibattito televisivo Berlusconi-Occhetto ha segnato l’apice della prima campagna elettorale della Seconda Repubblica. Per la prima volta, infatti, una campagna nazionale appariva impostata sull’asse destra\sinistra, prodotto del sistema bipolare sorto dalle ceneri di Tangentopoli, e sulla dicotomia nuovo\obsoleto, con la straordinaria novità imposta di fatto da Berlusconi con l'indicazione del leader che in caso di vittoria della coalizione di centrodestra sarebbe stato il presidente del Consiglio.

Il prof. Francesco Morosini, esperto di sistemi elettorali, che ha coniato lo slogan “Salvate il soldato Italicum” (citato anche in Aula alla Camera dal deputato Francesco Sanna, come ha ricordato il cronista Innamorati) ha ribadito che, “al netto delle strumentalizzazioni politiche, sia esterne che interne al Pd, questa legge elettorale è la migliore proposta in campo, soprattutto viste le alternative (come il cosiddetto Speranzellum), perché consegnerebbe finalmente a qualcuno la responsabilità di governare il Paese, garantendo comunque un buon rapporto fra rappresentanza democratica e governabilità. Offre infatti agli elettori la possibilità di scegliere un Governo che il giorno dopo le elezioni ha una maggioranza alla Camera, limitando però il successo del vincitore a un premio superiore di appena 24 seggi alla metà più uno dei seggi (il 3,8% su 630 seggi)”. 

Nel mio intervento ho preso le distanze dalla bozza di accordo sulla legge elettorale sottoscritta nelle scorse settimane dai rappresentanti della maggioranza del Pd e da Cuperlo, con la spaccatura tuttavia della minoranza visto che Bersani e Speranza si sono già dissociati. Primo: è una pessima idea eliminare il ballottaggio, senza il quale l’Italicum semplicemente non c’è più, o, come ha detto Gianfranco Pasquino, “è castrato”. L’Italicum è infatti il tentativo di adottare a livello nazionale un modello elettorale applicato con successo dal 1993 dai Comuni e dalle Regioni. E proprio l’esperienza nei Comuni dimostra che il ballottaggio è uno strumento fondamentale per conferire più potere agli elettori, chiamati a votare due volte, e per costringere i candidati a premier a spiegare al meglio priorità, soluzioni e costi anche a chi non li ha votati al primo turno. Per questo sarebbe meglio tenere il ballottaggio e trovare un compromesso per farlo svolgere non fra le due liste (partiti) più votate al primo turno, ma fra le due coalizioni più votate, senza sacrificare quello strumento di democrazia che è il ballottaggio. Secondo: anche la concessione del segretario Renzi di partire dalla proposta di legge Chiti-Fornaro per l’elezione diretta dei futuri senatori è un grave errore. Il nuovo Senato per rappresentare le autonomie territoriali deve essere composto con un meccanismo elettorale diverso dell'elezione diretta da parte dei cittadini. In caso contrario non potrebbe più essere il Senato delle Autonomie, ma un'altra Camera politica e non si spiegherebbe perché dovrebbe essere escluso dal potere di dare la fiducia al Governo e di approvazione di tutte le leggi. Insomma, se i nuovi senatori fossero eletti direttamente dai cittadini verrebbe meno uno dei capisaldi della riforma, cioè il superamento del bicameralismo paritario. Da autonomista sono convinta invece che la rappresentanza territoriale nel nuovo Senato va rafforzata e non indebolita: stabilendo ad esempio che ne facciano parte in ogni caso i presidenti delle Regioni.

Questa mia posizione, che ho già espresso al Segretario del Pd a margine dell'ultima direzione nazionale, è confortata dall'autorevole opinione del prof. Roberto D’Alimonte: “…il premier è preoccupato per l’esito del referendum. Le sue ultime dichiarazioni confermano la disponibilità a trattare sulla riforma dell’Italicum per aumentare le possibilità di vittoria del SI. Niente di male. La politica è la scienza del possibile. Ma ci sono dei limiti. Va bene sostituire i capilista bloccati con un sistema di collegi uninominali proporzionali. Va bene modificare le candidature plurime. Alla fine va anche bene introdurre il premio alla coalizione. Tanto le coalizioni si potranno fare o non fare. Basta solo tener presente però che una modifica del genere aumenterà la frammentazione del sistema dando più spazio ai partitini e alle scissioni dei partiti più grandi. Tutto questo si può fare. Sperando che serva a vincere il referendum, il che non è affatto detto. Quello che non si deve fare è la cancellazione del ballottaggio o il suo stravolgimento con accorgimenti come quelli indicati da Onida (si veda IlSole24Ore del 15 settembre). Il ballottaggio è il meccanismo più semplice, più trasparente e più democratico per cercare di favorire la creazione di governi stabili in condizioni difficili. Con il ballottaggio sono gli elettori a decidere. Sono loro, e non i partiti, gli arbitri della formazione del governo. Quanto meno all’inizio della legislatura. Ma il ballottaggio dell’Italicum fa paura. Nel nostro paese la stabilità dei governi fa paura a molti. Questo è il punto. Con le riforme istituzionali degli anni novanta abbiamo risolto il problema della stabilità dei governi comunali e regionali. Sindaci e presidenti di regione non sono più alla mercé dei consigli e dei partiti. Manca ora l’ultimo tassello. Quello più difficile. Dare stabilità al governo nazionale. Se al referendum vinceranno i NO torneremo al proporzionale e a governi di coalizione, con l’aggravante della assenza dei grandi partiti della Prima Repubblica. Torneremo alla instabilità e alla irresponsabilità. Ma se Renzi cederà sul ballottaggio i NO avranno già vinto senza nemmeno il bisogno di andare a votare a Dicembre.”


pubblicata il 13 novembre 2016

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