La competitività del Veneto ha bisogno dell'Autonomia - Venezie Post

27 settembre 2016

La decisione del premier Matteo Renzi di partire dal Veneto per presentare il piano nazionale Industria 4.0 è stato inteso come un riconoscimento al nostro sistema produttivo e alla sua potenzialità di essere uno dei laboratori nazionali della quarta rivoluzione industriale, quella digitale.

Ma il Veneto, oltre a cimentarsi con la sfida dell’innovazione sul piano economico-produttivo, e anzi proprio per vincerla, deve oggi raccogliere anche la sfida di una innovazione strategica sul piano politico: attuare finalmente il regionalismo differenziato, che si fonda sullo scambio tra autonomia e responsabilità, per cui da un lato il governo centrale accetta la devoluzione locale di risorse e competenze, dall’altro la Regione assicura buon governo e responsabilità.

Nel sistema interconnesso e globale la competitività non si fonda infatti solo sull’intraprendenza individuale o della singola impresa, in ambito locale o internazionale, ma anche e soprattutto sulle caratteristiche e capacità competitive dei territori e dei soggetti pubblici e privati che ne presidiano i processi di governance. Per due ragioni: per la funzione che hanno i territori sia a supporto dei processi di sviluppo locale, sia come fattori essenziali di ricomposizione di quel senso di appartenenza identitaria a cui il globale non può certo rispondere. Tanto più in un Paese come l’Italia dalla “antica e vitale orizzontalità” e in cui la “qualità degli ambienti economici locali ci tiene ancora a galla nel panorama internazionale” (Giuseppe De Rita) 

A questa constatazione ne va aggiunta anche un’altra: i processi di vero cambiamento hanno più facilità ad essere attuati a partire dai territori più aperti alle sfide, non dal centro dove sono troppe le resistenze della politica nazionale, della burocrazia centrale e delle organizzazioni nazionali di categoria che tendono a conservare l’attuale sistema. Anche per questo è utile la localizzazione del potere politico, se accompagnata da meccanismi di responsabilità fiscale e supportata da una autentica partecipazione democratica alla vita sociale.

Si comprende allora la forte rivendicazione del governatore del Trentino Ugo Rossi nel suo intervento all’annuale Festa dell’autonomia di qualche settimana fa: “autonomia oggi è sinonimo di modernità, responsabilità, di semplificazione del rapporto governati-governanti (…) adeguato al tempo in cui bisogna capire come ridurre l’intervento pubblico senza penalizzare la società e i più deboli”. Perché rende “più responsabile e compatto il territorio, per fare in modo che l’insieme delle sue risorse e dei suoi talenti si muova in maniera coerente, auto-rafforzandosi proprio nella comune appartenenza territoriale e perché quel territorio possa dare un suo e migliore contributo al senso di futuro della Repubblica”.

Lo stesso Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, in occasione della lectio magistralis tenuta in onore di De Gasperi a Pieve Tesino il 19 agosto scorso, ha definito l’autonomia come “un investimento in positivo che richiede l’impegno di tutte le istituzioni”, nazionali e locali, se praticato “come esempio di responsabilità, d’intelligenza non localistica e anche d’innovazione politica”.

Da tempo penso che anche il Veneto abbia la necessità e la vocazione di sperimentarla. La necessità, per dare risposta al disagio di tante comunità locali (e non solo) che in questi anni hanno chiesto di passare nei territori speciali confinanti, visti i vantaggi competitivi in termini di politiche fiscali e del credito, di servizi alle famiglie e alle imprese che questi possono mettere in campo. La vocazione, non solo perché la nostra Regione ha dimostrato nei fatti di essere più virtuosa di molte altre, ma anche perché la società veneta è preparata all’esercizio dell’autonomia, avendo alle spalle anche l’esperienza storica dell’autogoverno dei territori della Repubblica Serenissima, già indicata dal Guicciardini come il miglior esempio di buon governo del tempo. Basta citare quell’esperienza felice di sussidiarietà praticata da un oltre un secolo dal sistema della scuola dell’infanzia paritaria, che accoglie 91.500 bambini ogni giorno con un risparmio di quasi 500 milioni di euro l’anno per l’erario, garantendo performance positive ai nostri ragazzi nelle valutazioni internazionali.

Ebbene: lo strumento costituzionale introdotto in Costituzione nel 2001 all’art. 116 terzo comma, che in Parlamento abbiamo difeso e mantenuto anche nella riforma, per attribuire maggiori e ulteriori forme di autonomia a regioni come la nostra, unito al referendum consultivo regionale sull’autonomia considerato legittimo dalla Corte Costituzionale un anno fa consegnano ai veneti una straordinaria occasione per avvicinarsi alle condizioni di competitività delle autonomie speciali confinanti.

Solo da una forte partecipazione popolare al referendum a favore dell’Autonomia può arrivare infatti una spinta tale da indurre la classe politica ad ascoltare finalmente le legittime istanze di autogoverno responsabile del Veneto, isolando così le istanze secessionistiche e separatiste. Ecco perché il referendum deve precedere il negoziato tra Governo e Regione, come scrive la stessa Corte Costituzionale. E come ci ha ricordato chi è esperto di autonomia, il governatore Ugo Rossi: è “il popolo alla base di tutto. Perché nemmeno la Repubblica, proprio così come nemmeno la nostra autonomia esisterebbero se un popolo non le avesse fortemente volute”.

*Simonetta Rubinato è deputato del Partito Democratico

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pubblicata il 27 settembre 2016

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