Decreto Legge Protezione Civile

20 febbraio 2010

Il passaggio del decreto legge c.d. sulla Protezione Civile questa settimana alla Camera (ora tornerà al Senato), con il voto contrario del Partito Democratico, offre lo spunto per alcune riflessioni. Perché il suo contenuto è sintomatico di quale idea il Presidente Berlusconi e il suo Governo hanno dello Stato e delle istituzioni democratiche.

Credo però sia doveroso prima di tutto  sottolineare che grazie agli interventi del Pd e degli altri gruppi di opposizione, il decreto legge esce dall’Aula notevolmente modificato. E non solo perché è stato eliminato l’articolo 16 che prevedeva la privatizzazione della Protezione Civile attraverso la creazione di una Spa. Ma anche per la bocciatura dello scudo che avrebbe impedito addirittura qualsiasi azione giudiziaria nei confronti delle gestioni affidate ai Commissari (oltre alla sospensione dei processi). Si è anche evitata l’approvazione di una norma ad personam, che prevedeva “per legge” l’assunzione presso il Ministero dei Beni culturali, al di fuori da ogni sistema di selezione pubblico,  di un dirigente predeterminato! Peraltro, quello che è stato presentato sotto il generico titolo di “Protezione civile” è un decreto legge su cui via via si sono inserite norme che intervengono su tante altre questioni rilevanti. Una fra tutte quella delle carceri sovraffollate.

Il Pd si è opposto alla conversione in legge del DL195/09 ponendo una questione pregiudiziale di costituzionalità, ritenendo che non ci fossero i requisiti previsti dall’art. 77 della Costituzione di “necessità ed urgenza”.  Ma il Governo non ha voluto sentire ragioni e, pur dovendo fare qualche passo indietro sotto i colpi dell’opposizione e di quanto sta accadendo al di fuori dell’aula parlamentare per effetto delle inchieste giudiziarie che coinvolgono l’uomo simbolo della Protezione Civile, Guido Bertolaso, ha proseguito sulla sua strada.

Emanando questo decreto legge il Governo ha implicitamente ammesso il fallimento delle tanto decantate riforme della Pubblica Amministrazione di Brunetta e di semplificazione di Calderoli. E’ normale che in un Paese anche una competizione velistiche (la Louis Vuitton Cup) diventi un’emergenza per la quale far intervenire la Protezione Civile? Basterebbe chiederlo agli uomini e alle donne che hanno dato vita nei nostri comuni a gruppi di volontariato pronti ad intervenire in caso di calamità. Sono certa che sorriderebbero. Eppure in questo Paese, nel solo 2009 sono stati 78 gli avvenimenti dichiarati opere di emergenze. Dal 2002 ad oggi sono addirittura 500, per un importo di spesa pari a 10 miliardi di euro. Se uno Stato, un Governo dichiara lo stato di emergenza per organizzare l’Expo, le celebrazioni per l’Unità d’Italia, i mondiali di nuoto o i giochi del Mediterraneo, vuol dire che l’azione riformatrice, di cui tanto va fiero il ministro Brunetta, è completamente fallita. Oppure che è incapace di garantire la gestione ordinaria.

In realtà nella Pubblica Amministrazione ci sono tante persone competenti e preparate che aspettano soltanto di essere messe alla prova e non mortificate con riforme che finiscono per essere soltanto degli slogan.  Dopo questo decreto legge il ministro Brunetta deve alzare bandiera bianca e ammettere di aver fallito.

A leggere attentamente quanto contenuto nel decreto legge sulla Protezione Civile, si capisce quale sia la concezione dello Stato tanto cara a Berlusconi: lo Stato assoluto, di cui il Presidente del Consiglio è il capo, come lo era il monarca prima dell’istituzione del Parlamento, dispensato dall’osservanza delle leggi, il quale può disporre del potere e delle risorse pubbliche con una logica privatistica, calpestando i principi della rappresentanza della sovranità popolare nel Parlamento, della divisione dei poteri,  dello Stato di diritto, dell’imparzialità della pubblica amministrazione. In poche parole, i principi scritti nella Costituzione. Del resto non è forse lui il maggior contribuente del fisco italiano? Dunque che male c’è se dispone del denaro pubblico con una logica privatistica e se i suoi accoliti distribuiscono incarichi e appalti ad amici e cortigiani?  

Per il monarca assoluto il dibattito politico nelle sedi istituzionali, il confronto democratico sono “perdite di tempo”. Per cui, spinto dalla frenesia del fare, ogni intervento ordinario diventa per lui urgente, e lo stato di eccezione diventa regola. Si tratta però di una strategia che sta manifestando tutte le sue fragilità e sta facendo emergere le gravi conseguenze anche sul piano etico. Con le procedure di emergenza tutto avviene senza la necessità di regole da rispettare e di procedure trasparenti: le procedure di affidamento lavori, i controlli sui contratti, i bandi di gara, le varianti in corso d’opera, l’adeguamento prezzi e le penali. E questo senza distinguere tra la gestione di una calamità naturale (un terremoto o ad un’alluvione) e l’organizzazione di un torneo sportivo.

Ma un modello di gestione (governo) del Paese senza regole e controlli, con il continuo ricorso ai decreti legge,  spalanca le porte alla corruzione, come confermano i dati illustrati dal presidente della Corte dei Conti in occasione dell’apertura dell’anno giudiziario.

Trasformare ogni evento in un’emergenza consente al Presidente del Consiglio di assumere il ruolo di salvatore, quello che tranquillizza i cittadini colpiti da tragedie, che con una gestione personalistica si sostituisce ad uno Stato poco efficiente. Questa emergenza continua sottrae l’azione della Protezione Civile, o meglio dei commissari di volta in volta nominati dallo stesso Presidente del Consiglio, al controllo della Corte dei Conti e delle Autorità di vigilanza.

E tutto avviene nell’assoluta mancanza di trasparenza, mentre il Ministro Brunetta costringe ogni altra Pubblica Amministrazione a mettere in internet curricula, assenze, compensi e chi più ne ha più ne metta. Il che va bene, ma perché deve esserne esente proprio il Governo?  E ancora: la nostra Costituzione prevede la distinzione tra attività di indirizzo politico e attività di gestione, la prima spetta agli organi politici, la seconda ai funzionari o dirigenti per garantire l’imparzialità della Pubblica Amministrazione. Così in un Comune o in una Provincia, il Sindaco e il Presidente non possono certo fare anche il Segretario o il Direttore Generale. Perché allora Bertolaso (che pure è uomo capace, che ha fatto cose importanti per il Paese) può per decreto legge essere insieme Sottosegretario (politico) e Capo del Dipartimento della Protezione Civile (funzionario)? Questo cumulo di funzioni è destinato da qui in avanti a compromette l’autorevolezza del suo operato.

Più volte dai banchi dell’opposizione abbiamo espresso contrarietà a questo modo di affrontare i problemi del Paese, per esempio quando il ministro Alfano  ha annunciato che il Governo avrebbe dichiarato lo stato di emergenze per il sovraffollamento delle carceri italiane, auspicando che non fosse questo una scelta per venir meno alle regole di trasparenza.

Credo che dopo il voto della Camera sul decreto legge 195/09 e soprattutto dopo quanto sta emergendo dalle inchieste giudiziarie, vi sia il dovere da parte della politica di restituire dignità alla Protezione Civile, a quanti, con spirito umanitario, sono pronti a partire e a spendersi gratuitamente e nel silenzio per aiutare chi è stato colpito da una grave calamità naturale. La Protezione Civile non è uno strumento privato per favorire amici, cortigiani  e parenti, ma una risorsa  straordinaria per l‘intero Paese. 

 

PER UN APPROFONDIMENTO CONSULTA LO SPECIALE DL PROTEZIONE CIVILE


pubblicata il 20 febbraio 2010

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