Il Veneto rispolvera il sogno autonomista: “Roma è lontana, vogliamo contare di più” - La Stampa

05 ottobre 2017

Pagina 5, Cronaca

«Cosa? Chi?». Sa niente il signor Wang Qu, dietro il banchetto di frutta e verdura a piazza delle Erbe dove metà dei commercianti sono cinesi e l’altra metà sembra disinformata. Il referendum per l’autonomia del Veneto è tra 2 settimane. Non c’è un cartello in giro per Verona. Solo qualche volantinaggio della Lega come ieri mattina al mercato di Borgo Venezia. Si lamenta Niccolò Zavarica, segretario del partito di Matteo Salvini della sezione Stadio Borgo Nuovo: «Abbiamo i conti bloccati dalla magistratura se no faremmo molto di più. La nostra gente non vede l’ora di contare di più. Ma basta fare i confronti con la Catalogna o con la secessione padana. Quei tempi non ci sono più».  

Sarà pure così ma nella regione dove 7 su 10 parlano soprattutto dialetto come dice il Governatore Luca Zaia, più di uno pensa che quello del 22 ottobre sia solo il primo passo. Gli eredi dei Serenissimi che giusto 20 anni fa diedero l’assalto al campanile di piazza San Marco sono in prima fila. Il ministro degli Esteri del Veneto Serenissimo Governo Demetrio Shlomo Yisrael Serraglia guarda ai suoi omologhi di mezzo mondo: «Faccio appello ai governi esteri per il riconoscimento del referendum veneto». Alberto Montagner presidente di Raixe Venete è allineato: «Siamo abituati alla politica dei piccoli passi. Il referendum deve essere una scelta di vita come hanno fatto i catalani. Non può essere solo una questione di portafogli o di tasse da tenere qui». 

Secondo la Cgia di Mestre che ha fatto due conti il residuo fiscale del Veneto nel 2015 era di 18,2 miliardi di euro. Considerando che il voto costa appena 14 milioni visto che non è elettronico ma alla vecchia maniera più di uno ci fa un pensierino. Paolo Fornaser, 52 anni, viticoltore della Valpolicella, campeggia con cappello di paglia sul depliant che illustre le ragioni del sì: «Roma è troppo lontana dal Veneto. Noi che siamo del territorio abbiamo bisogno di confrontarci con le istituzioni di qui. Io non sono mai stato in Catalogna ma questa non è una rivoluzione. Vogliamo solo contare di più». Il voto è consultivo e si sa. Ma non è che dal 23 ottobre non cambi niente per lo meno qui in Veneto. Simonetta Rubinato, parlamentare del Pd ed ex sindaco di Roncade vicino a Treviso ci ha pure scritto un libro sulle ragioni del “sì”: «La Catalogna non c’entra niente ma questo è un referendum vincolante. Nel senso che il giorno dopo il voto il presidente della Giunta regionale è vincolato ad andare a Roma ad aprire una trattativa con il governo centrale sui poteri da attribuire al Veneto. Tutto nel rispetto della Costituzione». Qui come in Lombardia il Pd ufficialmente è per il “ni”. Lascia andare avanti i rappresentanti locali. La parlamentare del Pd lo sa e ci fa i conti: «Nel mio partito ci sono molti mal di pancia. Ma votare sì è anche un modo di riavvicinare i cittadini in questo momento di presa di distanza dalla politica». 

Il Governatore Luca Zaia che pure avrebbe tutto l’interesse a mettere il cappello sul referendum fa il defilato: «Sarà il referendum dei veneti, non dei partiti e nemmeno di Zaia. Ma più pesante sarà l’affluenza più pressione riusciremo a fare a Roma». Tutta apparenza si capisce. Tanto sui telefonini gira una vignetta con Luca Zaia che annuncia: «Dopo la catalogna il radicchio». 

Esserci senza esserci troppo la sua strategia. Sapendo che se i favorevoli all’indipendenza della Catalogna in Italia sono il 43% secondo un sondaggio dell’Istituto Piepoli, quelli del centrodestra sono addirittura il 60%. Cosa con cui deve fare i conti Ciro Maschio, presidente del Consiglio comunale di Verona per Fratelli d’Italia-An e leader storico del partito che a livello nazionale con Giorgia Meloni snobba il referendum: «Abbiamo libertà di voto ma noi siamo per il sì. Noi confiniamo con Trentino e Friuli che hanno privilegi enormi. Come Veneto non possiamo essere da meno. Non è uno strappo. Il Veneto indipendente sarebbe più debole e per questo noi vogliamo più autonomia qui e il presidenzialismo a Roma. Qualcuno lo vive come un voto anticasta contro “Roma che ci ruba i soldi” ma è solo il primo passo di un processo per avere più democrazia». Il rischio è che gli anticasta vedano anche i promotori come parte della casta, come dice questa signora coi capelli rossi al mercato di piazza delle Erbe: «Bastava farlo su Facebook il referendum sul piace o non piace. Se non cambia niente perchè spendere tutti questi soldi?».  

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pubblicata il 05 ottobre 2017

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