Incentivi alle imprese che investono nelle start up innovative

20 aprile 2011

Il recente rapporto del World Economic Forum (Wef) conferma l’Italia come fanalino di coda nelle classifiche mondiali per l’innovazione tecnologica. Quest’anno il Belpaese si piazza 51esimo, dalla posizione 38 del 2006, sotto paesi come India, Tunisia, Malesia. In un solo anno abbiamo perso ben tre posizioni. Questo pessimo piazzamento è l’ennesima dimostrazione dell’incapacità del Governo di Centro Destra di incentivare la crescita del nostro Paese attraverso adeguati incentivi. Eppure le soluzioni per invertire la rotta non mancano. Proprio in questi giorni ho depositato alla Camera una proposta di legge con la quale chiedo di introdurre un regime fiscale di attrazione delle imprese italiane e straniere che investono in nuove attività ad alto contenuto innovativo e tecnologico insediate nel territorio nazionale.

I quattro articoli della proposta di legge prevedono incentivi per gli investimenti nel patrimonio netto di aziende innovative nella fase iniziale di attività (start-up) purché queste siano costituite da meno di 5 anni e a condizione che realizzino, sviluppino e applichino il frutto di una ricerca o di un’innovazione, ovvero piani di sviluppo tecnologici o progetti di ricerca (art. 1). Dopo cinque anni una percentuale degli utili sono destinati a essere reinvestiti in un fondo comune per l’innovazione (art. 2). In tal modo l’incentivo alle start up si autoalimenta con il metodo dell’investimento in un fondo. Si tratta di qualcosa di nuovo ed originale da un punto di vista tecnico, che fa passare un principio di sussidiarietà sociale dell’impresa che mi sembra importante da un punto di vista di “visione politica del Paese”, senza aumento della pressione fiscale. L’art. 3 prevede la soppressione dell’art. 41 del decreto n. 78/2010, che introduce un regime fiscale di attrazione degli investimenti esteri in Italia creando però una disparità di trattamento a sfavore delle aziende italiane. Infine l’art. 4 stabilisce l’applicazione in via ordinaria dell’istituto del Consolidato Fiscale Mondiale, prevedendo che il reddito prodotto all’estero da gruppi italiani sia soggetto in Italia a tassazione con un’aliquota agevolata del 20%, con lo scomputo delle imposte effettivamente pagate all’estero. Ciò al fine di contrastare l’insediamento di imprese italiane in paradisi fiscali e nello stesso tempo di non penalizzare chi sul serio persegue strategie di internalizzazione. Su queste proposte era stato accolto dal Governo un mio ordine del giorno alla manovra correttiva dell’estate scorsa. Ringrazio per la collaborazione nella redazione di questa proposta Giovanni Piasentin dello staff.
 
 
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pubblicata il 20 aprile 2011

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